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Il grande ruolo di Marisa Rodano a favore delle donne contadine

È morta a Roma, all'età di centodue anni, una straordinaria figura del Novecento, protagonista di tante lotte per la democrazia e la libertà. Tra i tanti suoi meriti, l’aver saputo comprendere in largo anticipo le perverse dinamiche del mondo rurale. I rapporti contrattuali quali la mezzadria, la colonia, la compartecipazione e il contratto di assegnazione, proprio perché fondati su una totale identificazione tra famiglia e impresa, se da un lato tendevano a fare del capo famiglia uno schiavizzato, dall’altro lo trasformavano nel contempo in un appaltatore schiavistico di mano d'opera

Alfonso Pascale

Il grande ruolo di Marisa Rodano a favore delle donne contadine

Marisa Rodano è stata una parlamentare del Pci dalla prima legislatura repubblicana fino al 1972, e poi deputata europea dal 1979 al 1989. Sono andato a rileggermi in queste ore la bellissima prefazione che Marisa firmò per un prezioso libro del giurista e dirigente dell’Alleanza nazionale dei contadini, Alessandro De Feo, La donna nell’impresa contadina (Editori Riuniti 1964). “Un segno dei tempi” – considerava il volume utilizzando un’espressione di Papa Giovanni – “scaturito da un contesto reale ancor più che da un impegno individuale di studio, e reso possibile, per così dire, dal moto profondo che ha scosso in questi anni le masse femminili delle campagne italiane”.

Si stava infatti verificando un fatto nuovo e profondamente rivoluzionario: lo sviluppo della lotta delle donne contadine per la loro emancipazione.

L’Unione Donne Italiane (UDI) aveva promosso la raccolta di cinquantamila firme sotto la proposta di legge di iniziativa popolare per l’abolizione del coefficiente Serpieri con cui in agricoltura veniva iniquamente valutato il lavoro delle donne rispetto a quello degli uomini. Era la prima battaglia autonoma delle contadine per un loro diritto. Ma questa rappresentava anche – come sottolineava la deputata comunista – “la raggiunta capacità del movimento unitario di emancipazione delle donne di interessarsi alle donne della campagna, di elaborare concrete rivendicazioni emancipative ad esse proprie, di uscire da un limite che era stato tradizionale in Italia per le associazioni femminili”.

Marisa Rodano riconosceva esplicitamente che “il movimento di emancipazione femminile in Italia era stato per decenni un movimento tipicamente urbano”. Se si escludeva, infatti, la significativa esperienza dell’organizzazione delle donne braccianti e particolarmente delle mondariso dirette da Argentina Altobelli, il movimento delle donne non aveva mai coinvolto le campagne. E questo perché – spiegava la parlamentare – “il movimento socialista vedeva nell’emancipazione femminile essenzialmente una questione della classe dei salariati e concentrava pertanto il suo impegno sull’emancipazione della prestatrice d’opera subordinata”.

La donna contadina era stata per un lungo periodo ignorata dai movimenti democratici. Considerata – queste le crude espressioni usate da Rodano – “un personaggio estraneo, quasi un esemplare di altra razza, eterogeneo rispetto alle altre donne”.

Questo limite si era potuto superare solo acquisendo culturalmente il nesso inscindibile, nell’assetto sociale delle campagne, tra impresa e famiglia e, nelle piattaforme di lotta, tra emancipazione delle donne e rinnovamento dell’impresa familiare.

Su questo punto, Marisa Rodano esprimeva considerazioni molto acute come questa: “L’esigenza di libertà, di autonoma espansione della personalità femminile, impone di liquidare i residui patriarcalistici, di costruire una nuova realtà familiare fuori degli antichi schemi oppressivi; e una tale operazione, a sua volta, investe necessariamente la funzione economica della famiglia e perciò tutti quei rapporti contrattuali (quali la mezzadria, la colonia, la compartecipazione, lo stesso contratto di assegnazione) che, fondandosi su una totale identificazione tra famiglia e impresa, tendono, in definitiva, a fare del capo famiglia uno schiavizzato, ma pur sempre schiavistico appaltatore di mano d’opera”. E concludeva: “In tal senso la lotta di emancipazione delle donne diviene leva possente per sollecitare un nuovo e diverso ordinamento dei rapporti contrattuali e dell’assetto fondiario”.

Come si può, dunque, notare, ci troviamo dinanzi ad una personalità eccezionale: coniugava, infatti, una sapienza in ambiti culturali molteplici e una sensibilità rara nel comprendere aspetti della vita contadina, che solo rapporti diretti e di reciproco ascolto permettevano di valutare.

Sono state personalità di tale levatura a svolgere quella indispensabile funzione di guida che ha consentito a milioni di donne di combattere la buona battaglia per la libertà e la dignità e, a noi, di comprenderne la portata storica per il bene comune.

Grazie di cuore, Marisa.

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