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Artigianale, industriale

C’è la mania dell’evocare l’artigianalità, a ogni pie’ sospinto. Andiamo al di là dell’olio. Cosa ne pensa al riguardo l’anima propulsiva di uno dei pastifici più apprezzati e stimati al mondo? Ecco cosa ne pensa Benedetto Cavalieri

Luigi Caricato

Artigianale, industriale

Sono andato a vedere l’ultimo film di Ferzan Ozpetek, “Allacciate le cinture”, e, vista anche l’ambientazione della storia, nel Salento, la mia terra, ho subito pensato al precedente film del regista turco naturalizzato italiano, “Mine vaganti”, dove vengono tra l’altro citate le “Ruote pazze” di Benedetto Cavalieri, una tipologia di pasta che è una gran bontà, credetemi: basterebbe condirle con l’olio extra vergine di oliva in purezza per apprezzarle di gran gusto; poi, volendo, con un’aggiunta di salsa di pomodoro e basilico, diventano l’apoteosi della rappresentazione sensoriale.

Benedetto Cavalieri lo conosco da anni. Il suo centro aziendale è a Maglie, nel cuore della Terra d’Otranto. Cavalieri è una figura che stimo moltissimo, e che apprezzo tanto più perché ama concretamente il territorio in cui vive e dove l’impegno della sua famiglia nella produzione della pasta risale al 1918.

Il punto di forza della pasta Cavalieri? Il metodo di lavorazione denominato “delicato”, che consiste in una prolungata impastatura e pressatura, oltre che in una lenta trafilatura ed essicazione a bassa temperatura.

Questa che riporto, è una conversazione che ho avuto nel 2011, durante una cena. Riprendo dai miei appunti, tal quale. La stessa intervista la pubblicai altrove, la ripropongo anche su Olio Officina Magazine, visto che su certi temi è sempre bene riflettere. Il mondo dell’olio, del resto, ha estrema necessità di non cadere in formule vuote e insignificanti.

Non esiste una pasta artigianale, secondo Cavalieri. Le paste di qualità? Adottano un sistema tradizionale, con macchine che non alterano, ma valorizzano una buona materia prima di partenza.

La crisi economica sta mettendo in ginocchio molte aziende, come va?

Resto un maledetto ottimista. Il cibo italiano in tutto il mondo procede al massimo. La cucina italiana, quella fatta con materie prime italiane, è quanto di più meraviglioso possa esserci.

E l’agroalimentare italiano?

Occorre tenere conto che ci sono situazioni difficili da dover fronteggiare, questo sì. Sono tempi in cui tutti siamo chiamati a investire in attesa di tempi migliori. Sono d’altra parte delle sinusoidi le economie. La storia insegna.

Ho come la sensazione che la cucina italiana nel mondo sia più un bell’abito da indossare che non un’identità forte e profonda?

Io trovo imprenditori che puntano sempre più alla qualità, a ciò che è sano ma anche buono. Oggi trovi la cucina italiana ovunque, perché fa trendy. Ciò vale per New York come per Tokio. Credo che al di là della moda del mangiare italiano ci sia altro. Almeno da parte nostra, come imprenditori, ce la mettiamo tutta, pur di lasciare qualcosa di solido che non si fermi alla pura immagine.

Vince più la pizza o la pasta?

Più che la pizza è la pasta in verità il nostro biglietto da visita. Penso sia da considerare ormai un fatto sostanziale.

Timori per le imitazioni che affliggono il made in Italy?

E’ una preoccupazione reale. Ci sono in giro diversi prodotti fuorvianti, ma vedo che chi ha un palato fine non si lascia ingannare; e poi, va anche detto che i negozi dovrebbero essere i garanti della qualità. Ecco, io penso che occorra pensare al negoziante come a un garante della qualità, lavorando in questa direzione e contribuendo alla formazione degli operatori, e non lasciarli mai soli.

E in Italia?

Tanti laboratori fatti per insegnare a capire la pasta al di là del fatto di mangiarla.

E dove si sono svolti tali laboratori?

Il 90 per cento al centro nord, dove c’è più attenzione.

Qual è il punto di forza di una buona pasta?

La materia prima, che si può esaltare o rovinare. La pasta deve essere pastosa, ma nello stesso tempo tenace, senza essere però una pasta cruda. La pasta deve assorbire il condimento, deve avere corpo, tesssuto, tenacità al palato.

La si può definire artigianale?

Il sistema è quello tradizionale. Artigianale francamente no, altrimenti si chiude dopo una settimana. Abbiamo delle macchine impastatrici che modifichiamo secondo le nostre esigenze particolari, in modo da non stressare la materia prima. Abbiamo per esempio una pressa che fa 400 Kg/ora, per ridurre tale capacità lavorativa a 270-280 Kg/ora, perché in tal modo si da’ una torchiatura e una trafilatura molto soft. L’essiccamento veloce da’ molti vantaggi.

Esiste un rapporto conflittuale tra le grandi marche e le piccole e medie?

Conflittualità no. Sono due segmenti di mercato talmente lontani che non c’è una conflittualità.

Quindi un colosso come Barilla non infastidisce le piccole e medie aziende…

Avessimo tanti imprenditori come Barilla!

Esistono aziende poco virtuose in Italia?

Quelle esistono sempre. Vi sono aziende che lavorano seriamente e altre che fingono di produrre qualcosa di artigianale, ma si tratta di un finto artigianale. Escono con prezzi folli e una bella veste, ma poi dopo un poco spariscono. Certo, in qualche modo condizionano il mercato.

Per chiudere, un consiglio a tutti gli amanti della pasta…

Una buona pasta, di alta qualità, tiene bene la cottura, sia all’interno che all’esterno. Purtroppo molti per paura la tirano via prima, sbagliando. Ecco, posso dire che una buona pasta non può essere paragonata a una qualsiasi pasta.

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