Gea Terra

Bio. Omertà e disinformazione

Il messaggio che si lascia passare, è che i prodotti che derivano da agricoltura convenzionale sono ampiamente trattati e sono pieni di residui pericolosi, mentre in biologico si tende a far credere che ciò che eventualmente si usa non è un pesticida. è proprio così? Nel settore del biologico c’è evidentemente qualcosa che non quadra. Ci sarebbe da scrivere un romanzo, sulle caratteristiche di molti prodotti che hanno lasciato residui. Un resoconto dell’Efsa, circa i residui di fitofarmaci riscontrati nei controlli praticati nell’Ue, fa riflettere

Alberto Guidorzi

Bio. Omertà e disinformazione

Il diagramma che si mostra qui in basso, è il resoconto dell’EFSA circa i residui di fitofarmaci riscontrati nei controlli praticati nell’UE sui prodotti certificati biologici:

Ci sarebbe da scrivere un romanzo sulle caratteristiche di molti prodotti che hanno lasciato questi residui. Mi limito solo a far notare che se prendiamo i primi cinque della lista, cioè sicuramente usati in agricoltura biologica ed escludiamo i bromuri derivati dalla concimazione con alghe marine, gli altri quattro non hanno nulla di naturale, essi sono prodotti chimici di sintesi come tutti gli altri (leggetevi per favore qualche notizia su internet circa il fosetyl-Al e il clorpyrifos).

Su molti degli altri residui di prodotti fitofarmaceutici elencati (in parte ammessi ma molti proibiti in biologico) gli operatori del biologico dicono che ci sono perché sono ormai diffusi nell’ambiente circostante (e ciò è vero!) o come deriva di trattamenti fatti da agricoltori convenzionali confinanti.

Non voglio addentrarmi nel merito, ma per il lettore vale la pena conoscere che secondo questo link – QUI – quando i residui trovati superano il 5% non si può parlare di deriva ma solo di uso deliberato.

Dunque i consumatori che interpellati si dicono convinti che consumando biologico evitano così alimenti che non hanno subìto trattamenti con pesticidi, sappiano che si sbagliano o, meglio, glielo viene lasciato credere.
Se poi credono al “senza pesticidi” e che non vi siano residui sarebbe opportuno chiedere loro: ”ma perché non lo si dice chiaro e tondo che ve ne sono e non lo si dimostra con evidenze sperimentali”?

Ad onor del vero, sarebbe comunque inutile affermarlo, ma ciò è valido sia che il prodotto arrivi da agricoltura convenzionale che da quello da agricoltura biologica, se ci si informasse sul significato del Limite Massimo dei Residui (LMR) che sempre dai dati EFSA non è oltrepassato dal 97,3% e 98,4% rispettivamente. Invece il messaggio che si lascia passare è che i prodotti che derivano da agricoltura convenzionale sono ampiamente trattati e sono pieni di residui pericolosi, mentre in biologico si tende a far credere che ciò che eventualmente si usa non è un pesticida, oppure che addirittura i parassiti animali e vegetali sappiano scegliere di fare danni solo nell’agricoltura convenzionale e di rispettare l’agricoltura biologica!

Stante questa situazione in Europa, e ben sapendo che molta della domanda di alimenti biologici è soddisfatta da materia prima importata da paesi extra-Ue e terzi, vi è da chiedersi, ma com’è il panorama dei residui di pesticidi sui prodotti importati?

Il dato più recente che ho trovato per l’import dell’Italia l’ho ricavato da QUI e risulta che nel 2010 rispetto al 2009 le importazioni sono aumentate del 50% e non credo che lo scenario sia cambiato, anzi. Non ho trovato dati che dicano quanti superamenti di LMR siano stati riscontrati in Italia nel biologico. Nell’UE si dice che il superamento dell’LMR nel biologico importato è solo leggermente superiore. In Canada ed in USA invece vi sono indagini più specifiche e le cose risultano essere un po’ diverse.

Innanzitutto in Canada l’80% del cibo biologico è importato e in USA il dato è confermato. La Cina è il più grosso esportatore di prodotti biologici perché appunto è attirata dai prezzi allettanti, ma è anche il paese a cui si oppongono i maggiori rifiuti per il non soddisfacimento della caratteristiche minime di purezza, additivi pericolosi, inadeguatezza dell’etichettatura, coloranti e fitofarmaci proibiti. Solo che, com’è ovunque, i controlli si limitano ad un 1/2% massimo dei prodotti biologici che transitano alle frontiere.

I prodotti sono anche controllati alla partenza, ma non è l’organismo governativo americano (FDA) che esegue i controlli, bensì lo fanno terzi delegati (la stesa cosa avviene in Italia dove il Ministero ha delegato dei terzi a fare i controlli a pagamento a carico del produttore e/o importatore) e ciò fa storcere il naso agli americani, come d’altronde anche a me fin dall’inizio, quando ho visto le peripezie che devono sobbarcarsi i controllori del biologico e ho riflettuto sul fatto che tutta l’organizzazione “bio” campa con la certificazione e più certifica e più guadagna (a Berlusconi abbiamo sempre imputato il conflitto d’interessi, ma questi, seppure non ne abbiano uno così grande, comunque l’hanno ben evidente).

Un altro aspetto è la tracciabilità, spesso il paese d’origine è solo fittizio, anzi in assoluto non produce quel tipo di prodotto e viene indicato un paesi di transito per le numerose triangolazioni che avvengono.

In conclusione: iI maggior consumo di alimenti biologici avviene tra i cittadini dei paesi sviluppati, ma gli agricoltori di questi paesi hanno notevoli difficoltà tecnico-economiche a produrre seguendo i protocolli imposti. E’ vero che si assiste ad una crescita di superficie dichiarate a biologico, ma ad una analisi attenta si nota che crescono maggiormente i terreni che non producono alimenti; insomma in questo campo vi è molto di un “acchiappa sussidi economici pubblici senza dare corrispettivi alla collettività”.

Alla domanda molto sostenuta di alimenti biologici, dunque, si risponde con le importazioni di materia prima da paesi terzi che si vedono gratificati dagli elevati prezzi offerti da un mercato ad altissimo valore aggiunto. Tuttavia, alla frontiera e, ancora prima, nei luoghi di produzione, i controlli non sono sufficientemente numerosi per assicurare tutta la conformità che il consumatore giustamente pretende.

La foto di apertura è di Luigi Caricato

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