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È conveniente il biologico?

Solo una sana imprenditorialità, e non certo l’ideologia, posso indurre l’agricoltore a decidere nella maniera giusta. Dalla Francia l’esempio emblematico di chi ha valutato l’opportunità o meno di aderire al biologico. Dopo attenta analisi, si evince che produrre bio costa di più e che l’agricoltore non può rinunciare a vendere il proprio prodotto più caro. Per contro, la Gdo può permettersi di attirare il cliente allettandolo con prodotti bio meno cari, perché tanto ci guadagna lo stesso, attirandolo e vendendogli altro. Il consumatore, di fatto, non è certo disposto ad acquistare a prezzi troppo elevati

Alberto Guidorzi

È conveniente il biologico?

In questo video, che potete CLICCARE QUI un agricoltore francese con azienda ad indirizzo zootecnico spiega perché, dopo un’attenta valutazione e riflessione, ha deciso di non convertirsi al biologico subito ma attendere. Il video è in francese e quindi per coloro che non riusciranno a seguire il racconto dell’agricoltore ne allego una traduzione sintetizzata.

L’agricoltore inizia descrivendo il suo prato pascolo e mostra come dopo 8 giorni di pascolamento l’erba è ricresciuta bene con solo un esiguo passaggio di concime e che, quindi, se si decidesse di passare a biologico, potrebbe anche essere eliminato.

Successivamente esterna le riflessioni che gli sono state dettate in seguito ad uno studio commissionato ad un consulente e che lo hanno portato alla decisione di soprassedere.

Innanzitutto, dice che per lui era fuori discussione l’idea di aumentare il suo numero di vacche e ciò eminentemente per motivazioni economiche, ossia il rifiuto di fare ulteriori investimenti che avrebbero comportato modifiche profonde alle strutture esistenti.

Le riflessioni scaturite sono di tre ordini:

avrebbe dovuto accettare una diminuzione della sua produzione di latte: dai 500/520 mila litri attuali ai 360/380 mila litri a parità di numero di vacche;

certo avrebbe potuto vendere il suo latte a 45 ct di €/L al posto dei 33-34 del convenzionale (prezzo, tra l’altro, elevato perché il suo tasso di grasso è alto);

infine avrebbe dovuto riorganizzare la sua produzione di mangimi aziendali sia per il fieno che per il mais, tra l’altro avrebbe dovuto eliminare la produzione di cereali a paglia per poter avere disponibilità di superficie per produrre più alimenti per alimentare il bestiame. Tuttavia, avrebbe comunque dovuto mettere in bilancio l’acquisto di complementi alimentari per rendere energeticamente più consona la razione alimentare e anche per acquistare del mais da altri agricoltori biologici.

L’agricoltore transalpino ha dunque fatto un bilancio partendo dal fatto che nei primi due anni, cosiddetti di conversione al biologico, avrebbe dovuto coltivare con metodo biologico, ma senza poter vendere i prodotti con la certificazione biologica e quindi sfruttare prezzi maggiorati che invece avrebbe percepito solo a regime. In dettaglio è risultato che avrebbe diminuito i ricavi di 19.000 euro nel primo anno di conversione e di 10.000 nel secondo anno; solo a regime avrebbe potuto avere ricavi paragonabili al convenzionale grazie ai prezzi di vendita del litro di latte aumentati e alle cospicue sovvenzioni pubbliche (ndt: il litro di latte bio francese è sovvenzionato a livello del 50%). Tuttavia, se nel 2017 la sua latteria di conferimento gli aveva detto che avrebbe accettato la sua produzione di latte bio, nel dicembre 2018 invece lo ha avvertito che l’offerta di latte bio sul mercato era superiore alla richiesta e già una certa quantità di questo latte così prodotto finiva nella filiera del convenzionale con conseguente minor prezzo.

Insomma, non era sicuro che tutta la sua produzione fosse pagata a 45 €/L, ma una parte anche cospicua poteva essere venduta a solo 33/34 €/L. Altro elemento che ha dovuto valutare è stato che il 2018 è stato un anno particolarmente secco e, per la giacitura dei suoi terreni, esso ha influito molto negativamente sul suo approvvigionamento in fieno e mais. Dunque, nei suoi terreni e in caso di siccità, il rischio di produzioni inferiori di mangimi aziendali è maggiore. Ora se si è in convenzionale ci si può rifornire sul mercato normale acquistando paglie, fieno e mais a dei prezzi che sono nettamente inferiori di quelli che si devono pagare per acquistare la stessa merce certificata biologica, con il rischio aggiuntivo di non trovarla nelle vicinanze perché, in anni come il 2018, anche gli agricoltori bio del suo comprensorio che vendono mangimi ne avrebbero prodotti meno. Sono stati, perciò, tutti questi elementi che lo hanno indotto ad essere prudente nella decisione.

Altro elemento dirimente, riguarda il mercato del latte biologico che nel 2018 ha presentato il fenomeno nuovo della saturazione della domanda. Bisogna precisare poi che il cliente più importante per il latte bio sono le grandi catene dei supermercati, come ad esempio Leclerc e Carrefour, che, tra l’altro, hanno intensamente investito sullo sfruttamento della forte attenzione del consumatore verso il biologico. Infatti, come norma, la politica commerciale di questi grandi gruppi è quella di invogliare la domanda sostenuta di un prodotto mediante prezzi allettanti, ma in pratica si tratta di acquistare al minor prezzo possibile per poter vendere a prezzi ribassati prodotti fortemente richiesti. Ormai, infatti, in questi grandi centri si trova latte bio a 87 ct/L, cioè ad un prezzo che se non è uguale poco si discosta da quello convenzionale. Su questa base ci si è posti l’interrogativo se il prezzo di vendita a 45 ct/L sarebbe stato duraturo nel tempo o invece avrebbe seguito le leggi di mercato basate sulla domanda rapportata all’offerta.

Produrre bio costa effettivamente di più e quindi l’agricoltore non può rinunciare a vendere il suo prodotto più caro, per contro invece il supermercato può permettersi di attirare il cliente allettandolo con prodotti bio meno cari nella prospettiva poi di fargli riempire il carrello di altri prodotti su cui invece guadagna. Pertanto, l’agricoltore rimane sempre esposto all’alea che se l’offerta di latte bio cresce oltre misura i vari Leclerc e Carrefour imporranno un prezzo di acquisto man mano inferiore. Vi è inoltre da osservare che i prodotti bio hanno fatto breccia perché si è criminalizzata l’agricoltura convenzionale convincendo, senza prove, che il prodotto era più salutare, mentre è sotto gli occhi di tutti che in generale l’alimentazione è divenuta sempre più sana e controllata e che problemi di salute e sanitari nella popolazione sono sempre meno se si adotta una dieta bilanciata. Infatti, la vita si allunga. Pertanto, la pubblicità basata sulla denigrazione fatta dai supermercati con l’aiuto dei media e che ha generato una domanda di bio sostenuta, sembra abbia esaurito i suoi effetti; infatti, gli ultimi dati dell’Osservatorio del biologico non presentano più un trend in continuo aumento come prima, ma sono in diminuzione, seppure leggera.

Ecco quindi che di fronte a questo elenco di elementi, l’agricoltore francese è stato indotto a decidere di non convertire l’azienda alla produzione biologica, almeno per ora. È vero che se si chiede alla gente cosa dovrebbe fare l’agricoltore, questa direbbe che assolutamente si deve produrre biologicamente, ma dimentica che l’agricoltore è un imprenditore e se ha maggiori costi deve essere più remunerato per coprirli. Altro aspetto è che tutti i consumatori se interpellati affermano che vorrebbero che si producesse solo con sistema biologico, ma poi in realtà non sono disponibili a concretizzare con un atto d’acquisto la loro aspirazione a causa dei prezzi troppo elevati.

Il video dell’agricoltore termina con una considerazione perfettamente condivisibile e cioè che la moderna agricoltura deve tenere conto dell’aspirazione del consumatore nel voler veder coltivare in modo più ecocompatibile possibile. Pertanto certe regole del biologico, se l’agricoltura del convenzionale le avesse per caso dimenticate (rotazioni lunghe, concimazione solo a bilancio, salvaguardia della sostanza organica del terreno agricolo, lotta integrata ai parassiti ecc.) deve rispolverarle ed applicarle per una doverosa maggiore ecosostenibilità ed anche affinché l’opinione pubblica riveda il giudizio negativo che si è fatta del modo di fare agricoltura; tuttavia nello stesso tempo è imperativo salvaguardare la produttività, e questa, tra l’altro, è il solo parametro in mano dell’agricoltore per mantenere l’azienda agricola in attivo, infatti, come si è visto, il prezzo di vendita del suo prodotto in nessun caso è sotto il suo controllo.

Quali conclusioni trarre da questo racconto reale?

1° – Il biologico produce meno del convenzionale e chi lo nega sa di mentire.

2° – Infatti, non si può rinunciare alle sovvenzioni pubbliche supplementari per cercare di fare bilancio.

3° – È falso che in convenzionale non si produca qualità, il latte dell’allevatore prima dell’eventuale conversione era qualitativamente superiore per il suo maggiore contenuto in grasso.

4° – Le fortune del biologico derivano eminentemente da una denigrazione sistematica di un produrre convenzionale che purtroppo solo gli addetti ai lavori professionali e non il pubblico sanno che non esiste più essendo divenuto molto più virtuoso.

5° – In situazioni simili di mercato anche il biologico deve fare gli stessi conti del convenzionale e sicuramente li dovrà affrontare appena uscirà dalla nicchia attuale.

6° – Che la tanto declamata domanda di biologico resta molto virtuale, anzi si ferma spesso ad aspirazione. Quando il consumatore finale deve passare all’acquisto, i prezzi nettamente superiori lo disincentivano. L’acquisto è intimamente legato alle maggiori disponibilità finanziarie ed a scelte fideistiche.

7° – Estrapolare un trend di aumento della domanda in condizioni non continuativamente ripetibili è solo un esercizio illusionistico.

La foto di apertura è di Olio Officina

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