Gea Terra

Gli agricoltori non avvelenano la collettività e l’ambiente

Non è un periodo storico favorevole all’agricoltura, quello che stiamo vivendo. Oggi ci si accanisce nel far credere che il settore sia ancora fermo agli anni ’70 e ’80, ma non è così. Sono stati compiuti notevoli progressi, anche se nessuno vuole ammetterlo. L’accanimento ideologico degli ambientalisti confonde i consumatori e li destabilizza. La messa al bando dei neonicotinoidi, cavalcata in modo strumentale dai politici, andando contro il bene comune, sta provocando un effetto domino che farà collassare il sistema. Le conseguenze del proibizionismo sono molto gravi e si rischia perfino la moria delle api per fame

Alberto Guidorzi

Gli agricoltori non avvelenano la collettività e l’ambiente

Un fatto episodico e tuttora incompreso di sparizione delle api avvenuto nel 2006/2008 in USA, e non più verificatosi, ha dato la stura alla colpevolizzazione delle pratiche agricole, sorvolando su tutte le problematiche sanitarie gravi che ha oggi l’allevamento delle api.

PREMESSA

Il capro espiatorio fu subito trovato negli insetticidi distribuiti in agricoltura (nota: se il consumatore non vuole mangiare frutta bacata, bisognerà pure che l’agricoltura si difenda dai vermi!). Ora, è lapalissiano che un insetticida abbia la capacità, a certe dosi, di uccidere anche le api, essendo questi degli insetti. Tuttavia, per essere esaustivi, occorre ritornare agli anni 1970/80, quando nessun controllo preventivo di impatto ambientale era eseguito sui fitofarmaci, mentre ora, prima della messa in commercio di un insetticida nuovo, viene richiesto di provare l’effetto di questo sulle api e l’approvazione viene data solo se l’impatto, seguendo le norme d’uso stabilite, è accettabile.

Sempre negli anni ’70 e ’80, era permesso l’uso di molecole micidiali quali gli estratti di nicotina, il piretro e prodotti ricavati dalla ricerca bellica come i gas nervini. Il mondo agricolo, però, si rese conto che ciò era inaccettabile per le derive provocate, e agricoltura e industria chimica insieme decisero di ricercare molecole nuove.

Si studiarono le sostanze naturali allora usate e si sintetizzarono molecole similari, ma che non avevano i gravi difetti anzidetti.

La ricerca ci fornì due categorie nuove di insetticidi:

i piretroidi (ricalcanti il piretro naturale)

e i neonicotinoidi (ricalcanti gli estratti di nicotina naturali).

Essi toglievano molti dei difetti delle sostanze naturali e soprattutto la tossicità per i mammiferi in generale fu di molto ridotta, anche le dosi da usare calarono moltissimo.

In altri termini, oggi ci si accanisce nel far credere che l’agricoltura sia ancora quella degli anni ’70 e ‘80, quando invece i progressi fatti sono stati incredibili. Purtroppo, il consumatore è convinto che l’agricoltura non abbia fatto progressi e che questa abbia continuato ad avvelenare la collettività e l’ambiente. Credenza questa del tutto destituita di fondamento.

I neonicotioidi, in particolare, si prestarono per una pratica di difesa assolutamente nuova. Vale a dire, se si conciavano le sementi prima di seminarle con questi insetticidi, le giovani piantine che si sviluppavano assorbivano il veleno ed erano difese per un certo tempo dagli aggressori. In questo modo si evitava di disperdere nell’aria, dove volavano le api, dei veleni che potevano ucciderle

Gli ambientalisti nella loro azione puramente ideologica vollero dimostrare che comunque con i neonicotinoidi nel seme le api continuavano a morire e per farlo fecero degli esperimenti di laboratorio su api alimentate forzosamente con zuccheri contenenti neonicotinoidi, che a loro dire erano in quantità pari a quanto le api potevano assorbire bottinando in natura. Queste api erano in seguito rilasciate e si dimostrò che non tutte le api ritornavano all’alveare.

I tossicologi rivelarono subito che le dosi laboratoriali di veleno fatte ingerire alle api erano eccessive e quindi si pretese una verifica in condizioni naturali (cioè in presenza di coltivazioni con seme conciato). Nessuna conferma si evidenziò, cioè le api potevano bottinare su fiori di piante il cui seme era stato trattato, non morivano e ritornavano all’alveare.

Tuttavia, il battage allarmistico fece presa e i politici si buttarono a capofitto ad assecondare queste paure inconsulte decidendo la messa al bando dei neonicotinoidi sulla base delle prove di laboratorio. A nulla valsero le proteste e gli allarmi degli agricoltori e degli agronomi che svolgevano attività sul campo e che prefigurarono subito seri danni, infatti esistevano coltivazioni o che erano falcidiate da aggressori allo stato di giovane germoglio oppure che erano attaccate da insetti vettori di virus che in questo modo facevano ammalare le piante coltivate e che in precedenza venivano salvate dalla concia delle relative sementi. Le specie coltivate conciate erano varie quali: colza, mais, girasole (con rischi di decimazione dei seminativi) oppure cereali a paglia e bietola da zucchero (con rischi di trasmissione di virosi).

A nulla valsero gli allarmi per i rischi che si correvano a livello di sopravvivenza di certe coltivazioni, della possibilità di fare lunghe rotazioni e, non ultimo, il pericolo di destrutturare vere e proprie filiere produttive a valle delle relative colture. In altri termini fin dall’inizio fu paventato un “EFFETTO DOMINO” molto pericoloso.

LE CONSEGUENZE DELLA PROIBIZIONE SONO ORA DIVENTATE REALI

Dopo tre anni di interdizione, la Francia ha toccato con mano il verificarsi di tutti gli scenari prima paventati e sottovalutati. Durante questi tre anni comunque gli agricoltori irrorarono in piena aria molti altri insetticidi non proibiti ma altrettanto deleteri per le api. Cioè oltre al danno la beffa!

Infatti, la superficie a colza (pianta nettarifera da cui si estrae olio e si ottiene un panello zootecnico) si è ridotta del 30% e l’anno venturo lo sarà ancora di più in quanto la non protezione rende la coltivazione troppo aleatoria.

Il mais è stazionario su superfici molto più basse di alcuni anni fa ed i cereali a paglia sono più virosati di prima. Nel caso della bietola da zucchero il 2020 è stato disastroso in quanto attacchi parossistici molto precoci di afidi, favoriti da bel tempo caldo, hanno trasmesso il virus del giallume virotico a quasi tutte le coltivazioni con perdite stimate pari ad un 30% e fino al 50%.

La coltivazione di bietola da zucchero di per sé vive già un momento difficile per la concorrenza con lo zucchero di canna, ma ora rischia grosso per la sua sopravvivenza in quanto l’aleatorietà dei risultati produttivi ha già fatto prevedere cali di superficie investita nel 2021, mettendo a rischio la sopravvivenza degli zuccherifici, che tra l’altro in Francia sono per il 70% di proprietà dei bieticoltori e che quindi saranno danneggiati due volte.

EFFETTO DOMINO

Il calo del 30% del colza ha diminuito la produzione di olio, già limitato dal calo del mais, e quindi ci saranno maggiori importazioni di olio di palma, di soia e di arachide; non solo ma vengono meno anche dei panelli zootecnici e quindi si dovrà aumentare l’importazione di soia (tra l’altro OGM per il 90%).

Meno coltivazioni di bietole, altre a dover importare zucchero, impedisce la produzione di polpe fettucce di radici dopo l’estrazione dello zucchero. Queste, unitamente all’erba medica, mantenevano in vita, una florida filiera di essiccazione per la produzione di componenti energetici e proteici per mangimi animali, Quindi anche la superficie investita a erba medica era a rischio. Ma con meno cereali, meno bietole e meno sottoprodotti dell’industria saccarifera significava privare di materia prima tutto la filiera già esistente e che operava a valle degli zuccherifici, come la produzione di bioetanolo carburante, produzione di aria liquida a seguito delle fermentazioni, produzione di idrocarburi, detergenti biodegradabili, acido ialuronico, acido succinico, acido levulinico, zuccheri alcol ecc. ecc. a notare che il colza, l’erba medica e il girasole sono piante che in fiore sono grandemente visitate dalle api e costituiscono un serbatoio enorme di alimenti per le api che con la sostanziale diminuzione o sparizione metterebbe queste alla fame conducendole a morte. In altri termini non si sono salvate le api dagli insetticidi perché gli agricoltori ne hanno usato altri e nello stesso tempo si è procurato a queste la morte per fame.

Un esempio lo abbiamo vissuto anche in Italia quando non si volle lottare contro il vettore della Xylella fastidiosa che colpiva gli olivi e il risultato fu che essi continuarono ad infettare sempre nuove superfici olivicole al punto da far temere la sparizione degli olivi da certe zone.

In conclusione, ora si può toccare con mano quali siano le conseguenze di pressioni unicamente ideologiche, ma che però allettano il pensare ignorante di molti consumatori, i quali, intrallazzando con la politica, riescono a orientare le decisioni di questa solo in funzione dell’acquisizione del consenso e non del bene comune. Ormai, purtroppo, esempi come quello raccontato divengono sempre più numerosi, come l’affaire dell’erbicida gliphosate, oppure la spinta verso il biologico (i cui elementi dello scandalo sono ben evidenti, ma che non si vogliono vedere) o l’acritica decisione del rifiuto delle nuove biotecnologe in fatto di miglioramento vegetale.

La foto di apertura è di Olio Officina ©

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