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Il 70-80% del cibo che mangiamo dipende dalle api! Bufala o verità?

Non senpre ciò che ci viene raccontato corrisponde al vero. Un tempo si usavano le streghe per spaventare la gente, oggi i media ricorrono ai falsi messaggi ecologici, sfruttando la mancanza di cultura scientifica ed emarginando nel contempo chi saprebbe divulgare contenuti scientifici anziché bufale

Alberto Guidorzi

Il 70-80% del cibo che mangiamo dipende dalle api! Bufala o verità?

Facciamo un po’ di chiarezza.

1°- non sono solo le api che impollinano, ma vi è una folta serie di organismi viventi, compreso l’uomo.

2°- se sparissero gli impollinatori non resteremmo senza cibo.

3°- l’agricoltura non è certamente la maggiore imputata, anzi!

La principale causa è la modifica degli habitat e il colpevole è l’uomo e non sicuramente solo l’uomo agricoltore. L’agricoltura ha sicuramente modificato l’habitat naturale per fare agricoltura, ma nel contempo in agricoltura si coltivano piante mellifere visitate da impollinatori per cercarvi nutrimento, inoltre sarebbe opera meritoria se gli agricoltori comprendessero di dotare ogni anno l’azienda di una conveniente superficie adibita a nutrimento degli impollinatori.

Gli agrofarmaci, e gli insetticidi in particolare, sono per definizione dei veleni per molti impollinatori in quanto appartenenti alla categoria degli insetti, ma le dosi e le modalità d’uso corretto limitano molto l’impatto. Inoltre non possiamo non valutare che in letteratura si legge normalmente che non difendendo le piante che producono cibo si perde da un 20 ad un 30% di produzione.

Per spiegare meglio l’impatto dell’uomo agricoltore rispetto a tutta la collettività umana riporto un semplice esempio riferito all’Italia, ma trasferibile a tutto il mondo sviluppato: nel 1918 in Italia si coltivavano 24 milioni di ettari (ed eravamo 38 milioni di abitanti) e quindi l’habitat era modificato su questa quantità di superficie, oggi si coltivano 12,6 milioni di ettari (e siamo ben 60 milioni di abitanti), di conseguenza l’agricoltura ha restituito in un secolo ben 12 milioni di ettari circa perché si ristabilissero habitat più naturali. Purtroppo, però, gran parte di questa superficie è stata sottratta dall’urbanizzazione, cioè un habitat totalmente inadatto alla vita degli impollinatori. Dunque, “chi è senza peccato scagli la prima pietra!”

Tornando al titolo dell’articolo, visto che chi leggerà è bombardato da notizie volte a fargli credere che il dato citato corrisponda a sacrosanta verità (ci si è messa anche la FAO), forse il lettore si chiederà se chi scrive ha perso il lume della ragione.

Avrò perso qualche neurone per l’età ma penso di averne abbastanza per saper leggere all’interno della notizia. Infatti ho scoperto che quel 70-80% è riferito al numero delle specie alimentari coltivate e questo è fuorviante. Nello stesso tempo da agronomo ho dovuto studiare come avviene l’impollinazione nelle piante coltivate e so che sono pochissime le piante che dipendono al 100% dagli impollinatori per fruttificare. Infatti possiamo distinguere cinque categorie di piante.

  • Non dipendenti al 100%. A questa prima categoria appartengono tutti i cereali a paglia, più il mais, il sorgo e il miglio; le radici e i tuberi (cassava patata, patata dolce, carota); legumi (lenticchie, piselli, ceci): alcuni frutti (banane, ananas, uva, lattuga, pepe). Ma la lista non è esaustiva, perché occorrerebbe aggiungere il taro tra le radici, l’olivo per l’olio, la quinoa come falso cereale, i datteri, i cavoli, le cipolle, le noci, ecc. ecc
  • Poco dipendenti (senza impollinatori le rispettive piante perderebbero da uno 0 a un 10% di produzione). In questa voce è compresa: una parte della frutta e verdura: compresi aranci, pomodori, limoni, lime, papaya; le piante da olio come la palma, semi di papavero, di lino, di cartamo; alcuni legumi come fagioli, piselli, caiano, arachidi.
  • Modesta dipendenza (senza impollinatori si perderebbe da un 10 a un 40% di produzione). Vi sono incluse altre piante oleose come gli oli ricavati da semi di girasole, di colza, di sesamo, di senape; le oleoproteaginose come la soia; alcuni frutti come fragole, fichi, uva spina, melanzana; noci di cocco, gombo e chicchi di caffè.
  • Altamente dipendenti (senza impollinatori si perderebbero da un 40 ad un 90% di produzione). Qui vi sono compresi molti frutti come mele, pere, albicocche, mirtilli, ciliegie, mango, pesche, prugne, lamponi, mandorle, anacardi, noci di cola e avocado.
  • Essenzialmente dipendenti (perdite di produzione di oltre il 90%). Qui troviamo altri frutti come i kiwi, i meloni, le zucche, le angurie, i semi di cacao, le noci del Brasile.

Come è facile evincere, scorrendo la lista se calcolo la percentuale sul numero delle specie elencate significa che uno vale uno, mentre ben sappiamo che è più corretto valutare il livello dell’importanza quantitativa nel consumo umano. Infatti, quante tonnellate di frumento mais, riso, patate, manioca taro e banane plantains si consumano nel mondo rispetto ad esempio ai frutti compresi nelle ultime due categorie?

Ecco quindi che a questo livello ci viene propinata un’altra falsa bufala, infatti se ponderiamo quantitativamente i consumi, la percentuale si inverte, nel senso che se sparissero tutti gli impollinatori perderemmo il 35% del nostro cibo. Tuttavia qui una precisazione è d’obbligo in quanto ormai nelle coltivazioni delle piante alimentari dipendenti in modo preponderante dagli impollinatori sono collocati alveari per supplire ad una eventuale insufficienza di azione impollinante naturale. Inoltre negli ambienti confinati (serre) si inseriscono manualmente dei bombi ed ultimamente nel caso del pomodoro si usano robot per staccare, mediante vibrazioni, il polline dagli stami e farlo depositare sui pistilli. Insomma l’uomo ha già sperimentato il coltivare in ambienti privi di tutti gli impollinatori.

La conclusione sta in questa infografica.

Qui ci si chiede: quanto della produzione globale di cibo dipende dagli impollinatori? E la risposta che viene data è che il numero delle specie di piante alimentari che dipendono parzialmente o totalmente dagli impollinatori è sì il 75%, ma il cibo totale misurato in peso e parzialmente dipendente dagli impollinatori è solo il 35%.

Ma vi è di più: il declino nella produzione in peso di cibo se sparissero gli impollinatori sarebbe dell’8% nei Paesi a reddito medio-basso e del 5% nei Paesi ad alto reddito.

Un tempo si usavano le streghe per spaventare la gente oggi i media usano i falsi messaggi ecologici, appunto perché sfruttano la mancanza di cultura scientifica ed inoltre emarginano chi saprebbe divulgare scienza. Largo ai ciarlatani!

In apertura, foto di Olio Officina

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