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Le aree interne come patrimonio di risorse umane, culturali ed economiche

È venuta a evidenziarsi, nel corso degli ultimi decenni, una nuova sensibilità e consapevolezza dei cittadini per i temi dello sviluppo, per cui la prospettiva di poter cambiare gli scenari non sembra più un’utopia. Per trovare una soluzione alla rivitalizzazione economico-sociale di tali aree e delle filiere minori, bisogna uscire dalla cornice del modello della competizione globale e prendere strade diverse, basate sulla valorizzazione del patrimonio delle risorse locali e su modelli di coinvolgimento diretto dei consumatori

Marcello Ortenzi

Le aree interne come patrimonio di risorse umane, culturali ed economiche

Di recente, l’evidenza dei forti disagi che si hanno nelle aree urbane e la nuova domanda di qualità della vita hanno fatto riconsiderare il ruolo delle aree interne il patrimonio di risorse di cui sono detentrici, come risorse naturali, forestali, ambientali, paesaggistiche, storiche, culturali, alimentari.

Queste aree, in genere, rappresentano i territori più fragili del paese, tra desertificazione economica e sociale a causa della generalizzata rarefazione delle attività antropiche e dei servizi e di spopolamento e indebolimento progressivo dei modelli di welfare.

La Strategia Nazionale per lo Sviluppo delle Aree Interne, Snai, attuata attraverso iniziative su “aree pilota” in tutte le regioni italiane, non ha pesato sulla situazione vista l’inefficacia delle azioni implementate.

Viste anche le nuove difficoltà causate all’Europa dalle guerre in Ucraina e Palestina è tornato in auge il tema, anche per la minacciosa dipendenza esterna del nostro paese per risorse strategiche, quali cibo ed energia, che ha avuto significative ripercussioni economiche e sociali, mentre si ha un’ampia sottoutilizzazione del potenziale produttivo di
tali beni nelle aree interne.

È venuta a evidenziarsi, nel corso degli ultimi decenni, una nuova sensibilità e consapevolezza, critica e responsabile, dei cittadini per i temi dello sviluppo, per cui la prospettiva di poter cambiare gli scenari non sembra più un’utopia.

La prima considerazione che si può estrapolare è che le aree interne rappresentano oggi uno grande patrimonio di risorse umane, culturali, naturali ed economiche e presentano una molteplicità di contributi per la soluzione dei tanti problemi posti dalle grandi sfide dei nostri tempi.

Ma questi contributi possono concretizzarsi solo se si riesce a invertire il trend in essere in queste aree, innescando processi trasformativi e di rigenerazione che riescano a rivitalizzare l’economia la società e le istituzioni.

Il ragionamento teorico e politico-economico ha portato all’affermazione di un “modello convenzionale di agroalimentare”, basato sull’innovazione individuale e di filiera, efficace per conseguire posizionamenti competitivi sui mercati da parte delle aziende, delle filiere, dei lavoratori e dei territori.

In effetti oggi si possono rilevare diverse realtà territoriali, caratterizzate da eccellenze produttive e da tessuti economici e organizzativi adeguati che hanno successo sui mercati nazionali e internazionali.

Ma accanto a queste aree di successo, come confermano gli indicatori economico-sociali c’è anche un altro mondo fatto di una ruralità che, nella contrapposizione “globale-locale”, rimane perdente in modo significativo, accusando arretramenti economici, associati a un’erosione costante del capitale umano.

L’evoluzione più recente del modello di economia ha trasformato gli spazi, che una volta erano luoghi di produzione di ricchezza e di sviluppo di relazioni sociali ed economiche, in luoghi che i giovani non possono abitare.

Nella ruralità ricca di risorse, ma perdente sul piano economico e politico, si trova molta parte delle aree interne, in cui sopravvivono le filiere del cibo minori.

Per trovare una soluzione alla rivitalizzazione economico-sociale delle aree interne e delle filiere minori, bisogna allora uscire dalla cornice del modello della competizione globale e prendere strade diverse, basate sulla valorizzazione del patrimonio delle risorse locali e su modelli di coinvolgimento diretto dei cittadini/consumatori.

Un contributo importante per considerare queste strade nuove viene oggi dal mondo della ricerca scientifica, che propone nuovi modelli, alternativi a quello convenzionale, basati sull’innovazione sociale.

Alcune regioni ed enti locali hanno cercato di collaborare a tentare nuovi modelli funzionali per uno sviluppo territoriale, che siano trasformativi e rigenerativi degli ecosistemi territoriali, che siano in grado di ricostruire spazi in cui vivere e lavorare, in cui tutti gli attori, inclusi i cittadini/consumatori, sino disposti a coinvolgersi in esperienza che creano valore.

La concettualizzazione di mercato esperienziale teorizza lo sviluppo territoriale non solo attraverso l’organizzazione locale della produzione, ma anche attraverso la contestuale organizzazione locale dell’acquisto/consumo.

L’economia di prossimità si basa su questi nuovi modelli di sviluppo e creazione di valore territoriale e, in modo particolare, al concetto di territorio come spazio contestuale di produzione e di acquisto/consumo.

Per economia di prossimità si intende, infatti, un’organizzazione del mondo della produzione volta a vendere i propri prodotti e servizi ai cittadini del proprio territorio, e di quello più prossimo, e contestualmente una domanda per questi prodotti espressa dalla comunità locale e da quella più prossima.

Se si cercano piccole imprese in Italia nei territori interni, in Calabria per esempio, si trovano soggetti che hanno deciso di organizzarsi come produttori per vendere negli stessi territori di produzione e in quelli più prossimi e le comunità locali acquistano e consumano tali prodotti del proprio territorio o del più prossimo.

Il modello di economia di prossimità certamente non può trovare applicazione in tutti i territori interni che soffrono di fragilità economico-sociale.

La sua applicabilità necessita di alcune condizioni quali la presenza di filiere produttive semi-strutturate, con forte radicamento territoriale, la presenza di alcune attività artigianali, di capitale naturale e di istituzioni locali pubbliche e private (associazioni culturali, di terzo settore) sensibili ai temi dello sviluppo locale.

È necessario che ci siano i presupposti minimi per stimolare, anche attraverso policy mirate, un capitale sociale locale in grado di implementare l’innovazione sociale necessaria per il successo di un modello di cibo civile di prossimità.

In apertura, foto di Olio Officina©

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