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Tutta la verità sul biologico

L’aleatorietà della certificazione biologica. Nessuna obiezione che il biologico sia una certificazione di processo, solo che è fatta percepire al consumatore come se fosse anche una certificazione di qualità e soprattutto di risultati e questa è una vera e propria pubblicità ingannevole. Un duro botta e risposta tra il Presidente di FederBio Paolo Carnemolla e il nostro collaboratore Alberto Guidorzi. La questione non è affatto secondaria

Olio Officina

Tutta la verità sul biologico

Gentile Redazione,

spiace che il collega Guidorzi non abbia colto l’appello rivolto a lui e agli altri, che finalmente dispongono di molto tempo in quanto collocati a riposo, per dare una mano a noi, relativamente (ormai) più giovani, nell’impegno quotidiano per la transizione dell’agricoltura italiana verso “un’agricoltura professionale, ecocompatibile e benemerita verso la collettività in quanto fornisce cibo per tutti e per tutte le “borse” altrimenti detta agricoltura biologica.

Sorrido certamente delle affermazioni del collega quanto questi insiste nell’idea complottista e intellettualmente disonesta che tutto il quadro normativo, imprenditoriale, tecnico e di mercato dell’agricoltura biologica in Italia e nel mondo è solo una colossale truffa, subita da Governi e Istituzioni imbelli per tacitare qualche associazione ambientalista e cricca di “bobos”. Il collega ci sopravvaluta assai da un punto di vista lobbistico, mentre ci sottovaluta e disistima assai sul piano tecnico, con argomenti che principalmente denotano particolare “ignoranza” (sua) della materia che egli pretende di trattare da “esperto”, come quando afferma che l’unica fonte di sostanza organica per le aziende biologiche dovrebbero essere le deiezioni da allevamenti aziendali. E le rotazioni, i sovesci, l’interramento dei residui colturali e sottoprodotti, la cura nelle lavorazioni e della biodiversità del suolo, l’inerbimento e quant’altro, oltre al concetto di “comprensorio” fra aziende biologiche anche con allevamenti, come scritto anche in normativa che fine hanno fatto? E se Guidorzi ignora come è disciplinata la certificazione della raccolta spontanea secondo normativa vigente o il ruolo delle colture foraggiere e dei pascoli in agricoltura e zootecnia biologica, chieda a chi ne sa e studi, avendo molto tempo per farlo, anziché attribuire a proprie suggestioni valore di verità incontestabile.

Altra cosa su cui Guidorzi scrive senza conoscere sono i contributi pubblici per le superfici coltivate a biologico, ignorando anzitutto che la maggior parte dei contributi PAC è destinata all’agricoltura convenzionale/integrata, anche per le foraggiere e i pascoli e anche quando utilizza pesticidi di sintesi e diserba con il glifosate. Affermare che “il 100% del reddito di un’azienda biologica proverrebbe da sovvenzioni governative” significa non conoscere nulla di come funziona la PAC e i PSR regionali, meno che mai come si fanno i conti in una qualunque azienda agricola. Se ci sono aziende che rischiano di chiudere senza questi contributi pubblici sono proprio le aziende convenzionali, di certo non quelle biologiche che stanno sul mercato, basta dare un’occhiata al crollo del numero delle aziende convenzionali negli ultimi 20 anni (quasi dimezzato) e alla crescita di quelle biologiche (quasi decuplicate).

Che il biologico sia l’unica certificazione di processo agricolo e zootecnico sostenibile vigente in UE non lo svela Guidorzi, ma è scritto nei Regolamenti europei ed è nella prassi operativa del sistema di certificazione, anche se qualche appassionato delle soglie di contaminazione sui prodotti biologici e una pletora di organismi di certificazione sommersi da burocrazia e malamente vigilati potrebbero far sembrare diversamente. E se qualcuno ha denunciato frodi e conflitti d’interesse quelli sono il sottoscritto e FederBio, quest’ultima l’unica organizzazione costituitasi e ammessa parte civile nei processi per frode in Italia.

Infine i dati. Quelli che cita (malamente) Guidorzi non sono indicativi del “futuro” dell’agricoltura biologica, ma del suo passato, essendo del resto ormai fermi a due anni fa. Il futuro è nei dati più recenti, come nel caso del raddoppio delle superfici a biologico in Emilia Romagna avvenuto a cavallo fra il 2017 e il 2018 e principalmente in Pianura Padana. Certo “condurre un’azienda biologica che dia cibo” è fatica, soprattutto per la mancanza di conoscenza diffusa, di mezzi tecnici, sementi, servizi e innovazione adeguati e facilmente accessibili visto che fino a ieri si è investito sull’agricoltura convenzionale, dalle nostre parti ormai fallita.

Questa purtroppo è l’eredità che ci lasciano i colleghi come Guidorzi, che non sono vecchi per fatto anagrafico ma per “sclerosi” del pensiero e nostalgia per un passato che forse è futuro solo in qualche Paese terzo dove la salute dell’ambiente e delle persone e la qualità del cibo, oltre che la dignità dei lavoratori e la tutela dell’ambiente, sono un fatto secondario. Anche per questo sorrido, pur se con molta amarezza, all’infelice chiusa di Guidorzi sulla vicenda dei “50 morti e lesi renali” riferiti all’episodio accaduto su germogli vegetali biologici in un’azienda tedesca nel 2011. Anche in questo caso il Guidorzi si dimostra del tutto ignorante dei mezzi e delle tecniche di sanificazione ammessi in biologico (se davvero ci potessimo affidare solo al cloro saremmo finiti), strumentalizzando un episodio di inadeguata gestione aziendale e di contaminazione dell’acquedotto locale in una clava contro tutto il settore biologico e il sottoscritto, che per motivi incomprensibili dovrebbe sentire sulla coscienza il peso di quelle morti.

Che sarebbe come se dovessimo imputare a Guidorzi tutte le centinaia di migliaia di vittime dell’uso scorretto dei pesticidi o delle catastrofi collegate all’industria chimica che li produce e delle malattie professionali degli agricoltori che li utilizzano che qualche Paese UE ha anche formalmente riconosciuto, per non parlare delle vittime delle tossinfezioni alimentari prodotte da contaminazioni di prodotti alimentari convenzionali.
Secondo il report “EU summary report on zoonoses, zoonotic agents and food- borne outbreaks 2016” pubblicato congiuntamente, a dicembre 2017, dallo European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), nel 2016 in Europa si sono registrati 246.000 casi umani di campilobatteriosi, 94.500 casi di salmonella, 12.500 altri casi di diverse tossinfezioni alimentari.

Disponendo di una certa onestà intellettuale, mai ci è balenato per la testa di addebitare alla produzione agroalimentare convenzionale la responsabilità di questi oltre 350mila casi di tossinfezioni, dei 34.500 ricoveri ospedalieri e dei 485 decessi che pure ne sono stati la conseguenza diretta accertata dalle autorità sanitarie europee, né tantomeno di caricare di tale responsabilità le spalle del collega Guidorzi.

C’è un limite a tutto, oltre il quale c’è solo l’astio e la visione alterata della realtà che tuttavia non dovrebbe trovare spazio nel dibattito pubblico fra persone che si definiscono esperti della materia di cui scrivono.

Cordialmente.
Paolo Carnemolla
Presidente di FederBio

Risposta di Alberto Guidorzi alla lettera di Federbio

Premessa

Vorrei innanzitutto chiarire che “non sono stato collocato a riposo”. A 66 anni e dopo 40 anni di rappresentanza in l’Italia della Florimond Desprez (13ª ditta sementiera mondiale e ancora ditta famigliare), ho deciso di restituire il mandato perché era tempo che mi godessi la famiglia ed inoltre sentivo il bisogno di ricominciare a studiare perché volevo contrastare le deviazioni ecolo-ideologiche prese dall’agricoltura europea e italiana in particolare. Ecco perché ho accettato di collaborare con la rivista “Spazio Rurale” sulle cui pagine ho scritto per 6 anni. Il biologico, il biodinamico, la permacoltura e quant’altro furono da subito uno dei miei obiettivi. Ero stanco di ascoltare e leggere farneticazioni senza base scientifica del militantismo dell’agricoltura biologica, o meglio dei suoi ideologi a supporto degli interessi economici della grande e specializzata distribuzione volti ad incassare plus valori ingiustificati. Inoltre avevo chiaro l’incombente aspetto demografico gravante sul pianeta, caratterizzato dalla crescita del numero di abitanti, aumento della speranza di vita, invecchiamento e inurbamento a livello planetario (lo si prevede al 70% nel 2050). Insomma non intendevo tacere circa un progetto di decrescita produttiva nel vecchio continente auspicata da molti in modo sconsiderato, specialemente in Italia già deficitaria del 50% del cibo che consuma. Ho parlato di farneticazioni a ragion veduta perché la stessa FAO confermava che l’agricoltura biologica non sarebbe riuscita a dare da mangiare a tutti gli abitanti del pianeta, quantizzando anche che la produzione di cibo doveva crescere del 70% entro il 2050 e del 100% entro il 2100, ossia una crescita annuale dell’1,3%, mentre le fonti meno drastiche dicevano che un “pianeta biologico” avrebbe diminuito come minimo di un 25% le risorse alimentari. Insomma si prefigurava un pianeta ambientalmente idealizzato e nel contempo si taceva che sarebbe stato percorso da carestie continentali e guerre disastrose soprattutto proprio per l’ambiente.

Il biologico nel Mondo

Credo che valga la pena ricordare subito cosa rappresenta oggi il fenomeno dell’agricoltura biologica (AB) nel mondo allo scopo che il lettore conosca dei dati e non legga solo delle enunciazioni di principio, senza nessun riferimento a supporto, quali sono i contenuti della lettera di Federbio che mi coinvolge. I dati che si possiedono sono relativi al 2014. L’AB era 26,1 milioni di ettari nel 2004 e 39,4 nel 2014. Nel 2012 erano 37,4 milioni di ettari ma con ben 23,8 milioni di ettari di praterie permanenti (ossia il 64% della superficie totale, dato paradossale e squalificante l’essenza del fenomeno “bio” , ma che nessuno mette bene in risalto, seppure rappresenti il vero e proprio messaggio fuorviante che sta alla base dei dati statistici trionfali dell’AB ), inoltre, sono solo 6 milioni gli ettari investiti a cereali, foraggiere, oleaginose, proteaginose, piante industriali e orticole, cioè dove sono contenute le vere coltivazioni alimentari. Percentualmente dunque la superficie totale dell’AB esistente sul pianeta, comprese le praterie permanenti quindi, rappresenta un misero 0.9-1% a livello mondiale , un dato di totale insignificanza se paragonata alla superficie agricola utile (SAU) di tutto il pianeta. Quest’ultima è circa 5 miliardi di ettari (1/3 delle terre emerse) ed è costituita da 3,4 miliardi di Ha di pascoli, 1,4 miliardi di Ha di terre arabili e 140 milioni di Ha di coltivazioni permanenti (in gran parte arboree)
La distribuzione fra i continenti (vedi tabella sotto) ci dice inoltre che l’AB è maggiormente praticata nella vecchia e decrepita Europa ed in Oceania, ma qui le cifre sono gonfiate, come in Europa d’altronde, da praterie permanenti la cui ammissione nel contesto dell’agricoltura biologica grida vendetta al buon senso agronomico.

I dati della FIBL (istituto di ricerca per l’AB) sono superiori (43,7 milioni di ha), ma nel dato sono compresi 17,2 milioni di ettari di praterie permanenti australiane. Se guardiamo più da vicino l’Europa vi sono tre paesi che primeggiano: il Liechtenstein, con la sua “immensa” superficie di ben 160 kmq, ha il 30,2% di superficie adibito ad AB, l’ Austria ne ha convertito il 21.3 % di tutta la sua superficie, però, il 70% sono prati pascoli e poi al terzo posto vi è la Svezia con il 16,9%. In Austria si sono peritati di calcolare l’impatto di un eventuale 100% di AB sulle risorse alimentari nazionali che risulterebbero disponibili, lo ha fatto l’AGES- Agentur Gesundheit Ernährungssicherheit (cioè l’agenzia per la sicurezza alimentare) ed è arrivata al risultato che per mantenere l’uguale volume odierno di nutrimento di produzione nazionale, occorrerebbe disporre di 1 milione di ettari in più, di cui, però, l’Austria non ha disponibilità. Ciò ci suggerisce di tentare di prefigurare la conversione totale della SAU dell’Africa e dell’Asia in prospettiva 2050. Premesso che in Austria la popolazione a questa data sarà in calo o al massimo stabile, in Africa è invece previsto più del raddoppio della sua popolazione nel 2050 (da 800 milioni a 1800 milioni di abitanti), mentre per l’Asia il quasi raddoppio (da 3600 a 5300 milioni di abitanti). Quanto sopra indica che difficilmente i popoli asiatici e africani se ne starebbero calmi in casa loro a coltivare quel poco che è rimasto di terra arabile (ricordo che già oggi ogni cinese per sfamarsi può contare al massimo su 1200 m² di terreno). Più probabilmente si precipiterebbero a orde nei paesi dove la demografia e soprattutto il livello scientifico ha consentito di disporre di cibo a sufficienza e di dedicare risorse al benessere individuale. Il pericolo di una evoluzione catastrofica non sono mie fisime, ma di organismi internazionali come la FAO che appunto auspica un aumento della produzione di cibo del 70% nei prossimi anni. Circa il messaggio ottimistico venduto all’opinione pubblica sui possibili progressi della ricerca scientifica sul biologico è solo imbonimento perchè nei prossimi 30 anni e con i metodi antiquati suggeriti dall’ideologia ecologista al massimo si riuscirebbe solo ad abbozzare un programma di ricerca. Lo conferma il nuovo regolamento europeo che manda alle calende greche, vale a dire al 2035 l’obbligo all’uso delle sementi certificate biologiche. Anche qui siamo di fronte ad un controsenso eclatante del protocollo biologico e delle sue deroghe per cui è ammesso l’uso di varietà di sementi create per l’AC e non per l’AB (vedi il caso delle manipolazioni genetiche messe in atto per ottenere varietà di grano tenero Renan) e soprattutto moltiplicate con metodo di coltivazione convenzionale.

L’ignoranza dell’agronomia e della nutrizione vegetale

A) E’ un dato che traspare evidente dalla lettera di Federbio. Un conto è il totale rifacimento dei nutrienti asportati dalla derrata raccolta e trasformata in cibo, un altro conto è il riportare solo ciò che è recuperabile. Il lasciare in posto le biomasse vegetali inutilizzabili prodotte assieme al raccolto è solo un parzialissimo ripristino di fertilità. Le rotazioni comprendenti leguminose o i sovesci di queste apportano solo l’elemento azoto (tra l’altro di non pronta assimilazione). E il resto? Chi ripristina gli asporti di potassio e di fosforo? Non certo le fosforiti che si distribuiscono in AB e che contengono fosforo non assimilabile, ma anche anche tanto cadmio, tra l’altro! Nel caso del ripristino dell’azoto poi siamo in presenza di un sofisma bello e buono perché la fonte dell’azoto (N2) è sempre l’aria e quindi lo ione NH4 dell’urea ottenuta con il sistema Haber-Bosch (cioè il concime di sintesi) e l’NH4 derivante dalla nitrogenasi batterica (cioè dalla simbiosi radicale) assorbiti ambedue dalle radici non possono fare oggetto di discriminazione e chi lo fa sfrutta solo l’ignoranza agraria dell’opinione pubblica. Dunque l’unico apporto supplementare per ripristinare la fertilità sono le deiezioni animali in quantità molto ma molto abbondanti ed il “comprensorio” , citato da Federbio, sicuramente non vi può far fronte. Infatti, si prescrive che il letame è tutto buono salvo che esso provenga da allevamenti intensivi, e quindi è conforme al protocollo anche quello dell’azienda che pratica agricoltura convenzionale (AC) e che concima e protegge con fitofarmaci le piante che vanno a formare i loro mangimi concentrati Insomma qui abbiamo un altro bel sofisma perchè tutto diventa naturale e biologico solo che lo si faccia passare attraverso lo stomaco di un animale, seppure non ne venga cambiata l’essenza chimica!

B) Non ho bisogno di chiedere a nessuno per sapere che la raccolta spontanea in un incolto non ha nessun senso classificarla diversamente, o meglio ha senso per lucrare diritti di certificazione e pretendere dei plus valori fasulli dal consumatore. Non ho neppure bisogno di ristudiare che un prato, un pascolo o una coltura foraggiera è coltivata sempre alla stessa identica maniera sia in AC che in AB (non li si concima e non li si protegge con pesticidi comunque) e pertanto non ha proprio nessun senso fare la distinzione al solo fine di ingrossare abnormemente le statistiche per poter lucrare sovvenzioni pubbliche e così illudere e diciamolo francamente fuorviare l’opinione pubblica che non sa leggere tra le righe. Io l’ho fatto e risulta che più della meta della superficie dichiarata biologica è ascrivibile a terreni praticamente improduttivi o abbandonati. Se anche un pascolo certificato biologico fosse destinato alla produzione di carne o latte biologico, ciò che si ricava non presenterebbe differenze rispetto agli stessi prodotti convenzionali, appunto perché producibili nelle stesse identiche condizioni. Solo che questi terreni così definiti sono certificabili e apportatori di emolumenti economici che rappresentano circa il 60% di tutto il fatturato dei controllori e relative associazioni.

Sovvenzioni all’agricoltura biologica

E’ o no una sacrosanta verità il fatto che gli aiuti PAC diretti sono appannaggio di ogni agricoltore riconosciuto tale e quindi anche di chi coltiva biologico? In più, però, quest’ultimo può accedere a piene mani ad aiuti suppletivi insiti nei PSR regionali, mentre il convenzionale può accedere solo a qualche elemosina. Quando ho affermato che il 100% del reddito di un’azienda biologica perverrebbe da sovvenzioni governative forse credevate che non mi fossi documentato, ecco allora un link molto istruttivo in proposito (QUI). Martin Hausling, deputato verde tedesco conduce anche un’azienda di 30 ettari con ricavo mensile variante tra i 500 ed i 1000 €. Le sue entrate sono in totale di 35.744 € e sono formate da due voci principali: pagamenti diretti PAC pari a 20.261 € e 12.897 € di eco-aiuti al biologico che vanno a costituire proprio quei 1000 € mensili dichiarati. Altri esempi riportai nel link sono sulla stessa falsariga.
E’ falsare l’interpretazione delle cifre dire che le aziende convenzionali sono diminuite in quanto è nell’ordine della cose che in Italia, vista la polverizzazione fondiaria del passato e del presente, vi siano aziende che in un contesto sempre più competitivo chiudano. E’ invece falso in assoluto dire che le aziende biologiche siano decuplicate perché i vostri dati mostrano che in 17 anni sono rimaste praticamente immutate (tra le 40-45.000 aziende)

L’aleatorietà della certificazione biologica

Nessuna obiezione che il biologico sia una certificazione di processo, solo che è fatta percepire al consumatore come se fosse anche una certificazione di qualità e soprattutto di risultati e questa è una vera e propria pubblicità ingannevole. Ci mancherebbe altro che non denunciaste le frodi, ne va della vostra sopravvivenza, anche se le norme e proibizioni contenute nel recentissimo regolamento BIO italiano ci fanno dubitare che nei 23 anni passati vi siano stati degli comportamenti incestuosi tra organi di controllo e produzione e frequenti conflitti d’interesse durati a lungo. Inoltre si tace che in Europa si certifichino “bio” i prodotti dagli 8000 ettari dell’azienda ucraina di Semen Antoniets nei pressi di Poltava che alleva 1880 vacche e 800 maiali oltre a coltivare grano, orzo, mais e girasole secondo un protocollo eufemisticamente chiamato “biologicamente equivalente”. Aziende di questo genere sono ormai disseminate anche sul territorio dell’UE per effetto del suo allargamento a est, come ad esempio Rainer Carstens che coltiva verdura bio su 800 ettari verso il mare del Nord ed i prodotti li condiziona direttamente appunto per venderli alla grande distribuzione, oppure il gruppo Beher proprietario di 5000 ettari in Europa che è tra l’altro il più grande fornitore europeo di insalate e broccoli bio. Di fronte a questa concorrenza gli orticoltori bio italiani non possono sopravvivere e crescere di numero come confermano i vostri dati. Al consumatore è tenuto nascosto che in Europa si certificano “bio” delle produzioni in serra fuori suolo e che questi prodotti marchiati “bio” possono circolare ovunque e arrivare sulle loro tavole. I dati d’importazione di prodotti biologici in Italia non sono noti, mentre lo sono quelli della Francia: pari al 25% del latte, al 30% dei prodotti di salumeria ed al 60% di frutta e verdura; eppure sarebbero capaci di produrli pure sul loro territorio, evidentemente costano meno per motivi facilmente comprensibili. Ora se la Francia è messa in queste condizioni l’Italia non può essere da meno. A questo proposito leggetevi cosa dice Frédéric Denhez (“un militante ecologista nell’animo” come ama definirsi) nel suo libro “Il Bio rischia di perdersi”. Egli deplora che la grande distribuzione venda solo bio importato per fare più business, aggiungendo che certo si dichiarerà che sono coltivati senza pesticidi, ma purtroppo provengono da paesi dove i controlli non sono ne molto frequenti e tanto meno inopinati. Qualcuno è andato a vedere le condizioni di allevamento “bio”delle vacche lattifere in Polonia? Paese che esporta molto del suo latte certificato bio in EU (compresa l’Italia) sia fresco che in polvere. Quest’ultimo poi viene trasformato in yogurt bio dove spesso, per attrarre, si fa vivere un batterio inesistente, ma dagli effetti miracolosi?

Le statistiche del biologico italiano

E’ ridicolo citare il caso dell’Emilia e Romagna (regione che per motivi ideologici è molto prodiga in aiuti alle agricolture alternative) quando la superficie biologica è per l’85% localizzata nelle regioni centro-meridionali senza che questa popolazione eccella in consumo (forse toccano con mano il modo un po’ allegro del coltivare biologico in queste contrade). Dopo 23 anni di biologico, solo adesso ci si dice non si devono guardare i dati statistici del passato, ma solo quelli del futuro, che però neppure voi conoscete! E’ comprensibile il vostro buttare la palla in corner, infatti una semplicissima elaborazione dei vostri dati (vedi tabella allegata) smaschera tutta la prosopopea di questi anni improntata all’imbonimento e al travisamento della realtà. Comportamento supportato purtroppo anche da un non-ministro dell’agricoltura quale è stato Martina e che nel suo programma elettorale vanta un primato “biologico” italiano totalmente acritico.

Per terminare ribadisco che il pianeta del biologico è moralmente responsabile dei gravi episodi sanitari avvenuti in questi ultimi anni a causa dell’alimentazione con prodotti biologici, e tutto perché persiste nell’ammettere l’uso solo di disinfestanti “naturali” blandi e inefficaci. Far germogliare a 37°C in ambiente umido (temperatura e umidità ottimale per la moltiplicazione dei batteri patogeni) semi infetti da E.Coli e per giunta senza gli opportuni controlli e precauzioni è criminale, come criminale è non diserbare del grano saraceno, permettendo così la crescita della Datura stramonium, i cui semi tossici sono poi stati sfarinati assieme alla poligonacea. Infatti le farine vendute da un mulino artigianale hanno intossicato parecchie persone in Francia (QUI).

Alberto Guidorzi

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