Terra Nuda

A che servono Dop e Igp

Ci scrive Giuseppe Durazzo: le attestazioni di origine? Sono diventate strumenti di qualcuno contro qualcuno d'altro. Se manca la vera collegialità e condivisione delle decisioni sulla tutela, se si creano costi (e burocrazie) che soltanto qualcuno può sostenere, o semplicemente nuovi centri di potere, il tutto senza un controllo terzo, ecco che gli strumenti di qualità rischiano di diventare qualcosa di diverso. La risposta di Luigi Caricato

Olio Officina

A che servono Dop e Igp

Caro Direttore,

le Dop (o, nel caso, le Igp) sono strumenti importanti, ma da anni, sono diventate strumenti gestiti sostanzialmente a livello nazionale e locale senza un vero e proprio controllo di terza parte che valuti il merito o la legalità in sede di Unione Europea, come invece era precedentemente.

Quindi un problema di regole, a mio parere, esiste veramente.
Non entro sul caso specifico della Taggiasca, ma riprendendo il senso più ampio delle preoccupazioni dell’agricoltore, personalmente non mi sentirei di escludere totalmente ogni preoccupazione in presenza di pratiche di questo genere.

Ripeto, non parlo del caso specifico, ma più di una volta Dop e Igp sono diventate strumenti di qualcuno contro qualcuno d’altro, anche se nella trionfante prosopopea di queste procedure di ciò si parla poco. Ed in questa competizione sovente il concorrente non è l’operatore che sta dall’altra parte del mondo e che rappresenta nella realtà o nell’immaginario il contrario dell’interesse
nazionale italiano, ma il tuo vicino di casa che magari ha qualche conoscenza in più delle procedure, delle persone che delle procedure si occupano o di dove si trovano e come si ottengono (anche in questi tempi magri) dei finanziamenti pubblici (o parapubblici).

Di effetti paradossali (al di fuori del mondo dell’olivo, tanto per non girare il coltello nella piaga), ce ne sono stati diversi nelle storie di Dop e Igp. D’altronde, se talvolta manca la vera collegialità e
condivisione delle decisioni sulla tutela, se si creano costi (e burocrazie) che soltanto qualcuno può sostenere, o semplicemente nuovi centri di potere, il tutto senza un controllo terzo, ecco che gli
strumenti di qualità rischiano di diventare qualcosa di diverso rispetto a quello per cui 24 anni orsono sono nati.

Quindi, a mio parere, non si tratta di essere contro o a favore, ma di conoscere i limiti, le positività ma anche le criticità delle procedura Dop e Igp, auspicando che chi ha il potere lo gestisca nell’interesse di tutti e, da avvocato, che vi sia sempre uno strumento di giustizia attivabile nel caso la procedura deragli dalle regole.

Cordialmente,
Giuseppe Durazzo

Gentilissimo Durazzo,

grazie per le sue considerazioni, che trovo preziose, anche perché sui temi agricoli si parla a vanvera, perlopiù ci si lamenta, ma non si entra nel vivo delle questioni per chiamarle per nome.

Condivido le sue preoccupazioni, ma d’altra parte occorre riconoscere che l’Italia ha abbandonato l’agricoltura a se stessa, e i veri imprenditori agricoli sono spesso tagliati fuori. Basti riflettere su coloro che ricevono sostanziosi aiuti, sono infatti in gran parte figure estranee, quelle che, ricorrendo ad amicizie ed esercitando pressioni, riescono a ottenere vantaggi, salvo poi lasciar perdere l’attività agricola, quando non vi è più nulla da ottenere.

Le Dop e le Igp sono, come tutte le attestazioni di origine, strumenti importanti e fondamentali. Soprattutto oggi che, in un’ottica di un mercato sempre più gloable e di grandi colossi che detengono il controllo resta sostanzialmente difficile sopravvivere se non ci si unisce, bisogna tutelare per davvero le peculiarità di un territorio, anche per evitare che altri si approprino di denominazioni troppo ambite commercialmente.

E’ il caso di alcune Dop, dell’olio, e non solo. Sono fondamentali. Lei ha citato la Taggiasca, un’oliva altamente apprezzata dai consumatori, con una grande fama alla spalle. Lei sa bene che se non si protegge questa cultivar, chiunque può specularci, spacciando presunte olive Taggiasche, o ricavandoci oli non riconducibili alla zona d’origine.

Per questo furono istituite le Dop, proprio per difendere i più deboli: gli agricoltori. Sorprende che al di là delle aree più rinomate, dove già il peso commerciale dei prodotti a marchio Dop era ampiamente percepito come un grande valore, dopo tanti anni contino così poco sulla bilancia commerciale. In alcuni terrirtori l’olio convenzionale viene perfino valutato molto di più, ma per fortuna nelle aree storicamente più prestigiose, le Dop riescono a spuntare prezzi più elevati, assicurando maggiori guadagni e garantendo tutele ai produttori.

Cos’è che non va del sistema? Purtroppo, a parte alcuni (pochi) consorzi di tutela, che tutti conosciamo essere virtuosi e brillantemente diretti da persone capaci, il resto (la gran parte) ha direttori e presidenti non all’altezza del compito. E’ questo il grande errore commesso, di cui si pagano a caro prezzo le conseguenze. Il mio istinto mi spinge a fare l’elenco dei consorzi di tutela virtuosi, ma mi spiace mettere sulla pubblica piazza gli quei consorzi che si dimostrano essere inadeguati. E’ un problema che va risolto, ma non credo vi sia soluzione finché tali consorzi, con le relative attestazioni di origine, continueranno a essere ostaggio della politica con le sue intromissioni a gamba tesa. La politica è come il cancro, devasta, piazzando i propri uomini, perlopiù incapaci. I consorzi virtuosi sono retti da olivicoltori, frantoiani e confezionatori, non da persone raccomandate, piazzate solo per coprire un incarico di ripiego.

Passiamo alla questione dei costi di certificazione. Sono alti, sì, ma anche per i prodotti da agricoltura biologica, come del resto per tutte le certificazioni occorre contemplarne il costo. E’ inevitabile.
E’ tuttavia un falso problema, perché le Dop che funzionano sui mercati offrono guadagni al produttore che giustificano tali costi, rientrando senza alcuna difficoltà delle spese sostenute.

Il problema che tutti però ignorano, è che l’agricoltore è un inguaribile individualista, vuol far da sé, non si fida e non collabora con gli altri agricoltori: non si aggrega, non sia mai. Lo stare insieme è visto come minaccia, ma non è così, perché solo le aggregazioni possono consentire all’agricoltore di concentrarsi sulla coltivazione, e a tutti gli altri di curare ogni altro aspetto.

Anche il fallimento delle cooperative e dei consorzi tra produttori resta un’ombra sinistra sugli italiani, brutta gente, apparentemente simpatica, ma poi, di fatto, ostile. Eppure sono state sprecate tante risorse, anche con finanziamenti a fondo perduto in passato. Basti pensare, per non andare tanto lontano, anche alle più recenti Moc (Macro organizzazioni commerciali), tristemente fallimentari; o alle Op, le Organizzazioni di produttori. Ci si ostina ad affidare l’agricoltura a chi non capisce nulla di nulla. L’economia è invece qualcosa di serio, e richiede competenze. Se il nostro patrimonio agricolo e alimentare lo avessero in carico i paesi del Nord Europa, sarebbe tutta un’altra Italia.

C’è un problema di base, irrisolto, che tale rimarrà per sempre. Cambiare gli italiani è impossibile, nemmeno sotto dittatura – anche perché nella malaugurata ipotesi di una dittatura, avremmo sempre gli stessi personaggi, con le mani in pasta, a rendere funeste le sorti future del Paese.

Non sono pessimista. L’Italia potrà andare avanti solo se le migliori persone, i migliori talenti, decideranno di mettersi finalmente insieme, sfidando quella parte di italiani (non saprei quantificarla, ma è numerosa, forse numerosissima) che se non è mafia è comunque affare losco, intrallazzo, espressione del qui comando io e tu stai buono e ubbidisci, e semmai sventola le bandiere del nostro partito, della nostra organizzazione, e del vivi e lascia vivere, così intanto ti passa il tempo e qualche briciola te la assicuriamo, loro dicono, quelli che hanno le mani in pasta – ma quest’ultima immagine dell’Italia è quella che io non amo, che anzi detesto.

Io credo nelle attestazioni di origine, sono strumenti importanti e fondamentali, ma occorre fare in modo che l’organizzazione di queste realtà che ad oggi gestiscono Dop e Igp siano in mani buone.

Chissà, un domani. Occorre sempre crederci, la svolta è sempre possibile. Forse. Oppure, più saggiamente, per non perdere tempo e dare un senso al proprio lavoro, si può anche espatriare, e fare gli imprenditori agricoli più fruttuosamente altrove.

Luigi Caricato

La foto di apertura è di Olio Officina

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