Parlare di scienza al bar
Una scoperta che può rivoluzionare il mondo della medicina, della filosofia e, forse, anche quello della religione. L’apprezzamento di un Nobel della caratura di Kary Mullis. L’ipotesi che stava prendendo corpo era capire e, come, se era possibile che esistesse un circuito biochimico e biomolecolare che, come l’effetto domino, avrebbe portato a valutare addirittura le modifiche dello stato cosciente
Kary Mullis, il sottoscritto Massimo Cocchi, e Lucio Tonello, ad un bar di una cittadina della bassa bolognese intenti a degustare un buon bicchiere di vino e a discutere di psichiatria.
Una scena che bene descriverebbe Pupi Avati.
Stavamo appunto discutendo e riflettendo sulla ricerca che Lucio ed io avevamo condotto e che Kary Mullis ritiene, bontà sua, che possa rivoluzionare il mondo della medicina, della filosofia e, forse, anche quello della religione.
Sulla spinta a portare la discussione verso le mille cose che ancora pensiamo debbano essere fatte, Kary ci raggelò con una delle sue proverbiali, concise sentenze: “voi avete fatto una grande scoperta, non dovete fare più niente, fate come ho fatto io”.
Da qui nasce spontaneo il desiderio di mettere in fila tutte le cose fatte per poter decidere se lasciare proseguire altri o se valutare un ulteriore passaggio di riflessione.
Certamente la sentenza di un Nobel della caratura di Kary Mullis ci lascia un attimo spiazzati.
Nello stesso momento in cui degustavamo il nostro bicchiere di vino, in una vicina casa di campagna alloggiava anche Mark Rasenick che ci aspettava per discutere con noi il possibile legame che correva fra la nostra scoperta e la sua.
Egli aveva recentemente scoperto che nella parte lipidica della membrana neuronale di suicidi per cause psichiatriche, una nota proteina, in una delle forme che la caratterizzano come proteina Gs alpha, si comportava diversamente in ordine alla viscosità della membrana stessa.
Da lì ad un mese sarebbe arrivato nella cittadina della bassa bolognese un altro guru della scienza, Stuart Hameroff, divenuto famoso per la teoria elaborata assieme a Penrose, uno dei grandi matematici dell’era moderna, oggi premio Nobel, sullo stato di coscienza, attraverso l’uso del calcolo quantistico.
Egli riteneva che l’idea da noi prospettatagli di indagare sulle forme più drammatiche del disordine psichiatrico, relativamente alle modificazioni della coscienza, era eccellente e si rammaricava addirittura di non averci pensato prima.
È evidente che tuto ciò frastornava un poco i nostri pensieri, facevamo fatica a capacitarci di come tanta attenzione fosse dimostrata da eccellenze scientifiche internazionali verso i risultati da noi ottenuti.
L’ipotesi che stava prendendo corpo era di capire e, come, se era possibile che esistesse un circuito biochimico e biomolecolare che, come l’effetto domino, poteva condurre a valutare addirittura le modifiche dello stato cosciente. Sembrava di tornare un poco ai tempi pioneristici della ricerca scientifica, come bene molte volte la filmografia ci ha riportato, in cui si formavano gruppi di ricerca che fondavano, oltre che sulle conoscenze, anche sull’entusiasmo la rincorsa alla comprensione del fenomeno scientifico.
Oggi, nell’epoca del massimo rigoglire tecnologico, è ancora attuale quel meraviglioso movimento del cervello che porta all’intuizione, quella condizione, cioè, che indulge alla scoperta avvolgendola ed attribuendole il fascino intoccato di sempre.
Quella sera, al tavolo del bar della bassa bolognese stava prendendo corpo una delle idee più affascinanti che l’uomo possa perseguire.
L’inconscio potrebbe essere misurato nella sua fisicità, ma rimane aperta la porta della coscienza etica alla condizione di quella variabile esterna come pensa anche Penrose, che è Dio.
Nei giorni a seguire, comincio una frenetica corsa alla messa a punto di quella teoria che sembrava collegare fra loro le porzioni più strategiche della cellula e che, secondo noi, potevano portare diritte alla modificazione della coscienza.
Era quel fantastico 2008.
Foto in apertura di Olio Officina©
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