Quattro stanze più in là
L’incontro tra due anime, i sentimenti profondi in un testo inedito di Massimo Cocchi, tra i massimi esperti di biochimica della nutrizione al mondo, scomparso lo scorso 19 maggio. Ma non è solo la scienza a essere il pane della vita. Una parola chiave decisiva è amore. “Un amore che diviene ogni giorno più complesso e aderente alla realtà di quella vita che non possiamo non accettare nel momento in cui ne siamo profondamente immersi”. Poi arriva, inappellabile, una notizia: la dura sentenza di fine vita. Oggi, a distanza di due mesi, le intense riflessioni di chi ha vissuto fianco a fianco
La nostra casa è grande, tante stanze una dietro l’altra, volendola attraversare lungo il lato sud. La nostra vita è trascorsa lì suggellando il sentimento degli ultimi quindici anni.
Quattro stanze più in là, si è consumato l’ultimo atto, ti sei adagiato sul mio braccio, la morte è uscita violentemente dal tuo povero corpo straziato e sei volato via, sereno.
Negli anni precedenti la convivenza, fatti di complici chiacchierate, di sentimenti fraterni, di ammirazione reciproca, ci scoprimmo per caso ancora “in gioco”, ci sfiorò l’idea che il bene che reciprocamente speravamo l’uno per l’altro, era lì, presente, eravamo noi due.
Entrambi increduli, ricordo, ci presentammo dal mio amico Don Antonio e gli chiedemmo di benedire la nostra unione, consapevoli della straordinarietà di ciò che stava accadendo, così prossima alle perdite premature dei nostri coniugi.
Bi per sempre,
ci sono cose che accadono e tu non sai neppure perché. Non è vero, tu sai sempre cosa si nasconde nell’angolo più nascosto del cervello, di solito si nasconde l’unica verità, quella che magari non vorresti scoprire e che si scopre solamente se è talmente forte che non la rendi visibile quel cervello indifeso rischia di scoppiare. Quello che voglio confessarti è il prima e non il presente che conosci bene.
Forse sono alcuni anni che in quella porzione remota di cervello si annidava un pensiero che cercavo di scacciare perché ritenevo che tu fossi irraggiungibile. Questo pensiero via via più manifesto si è scoperto fino a farmi correre il rischio di incrinare un rapporto che, anche nel silenzio, non potevo permettere che finisse.
Così è stato, fra imbarazzo e timore, fra incredulità e determinazione ho avuto il coraggio che è proprio quello della forza dell’amore. Ti ho detto per la prima volta, ti amo. Bi per sempre, non è stato facile, quando mi hai risposto ho fatto fatica a credere e la paura di sbagliare era altissima, questo perché mi ero reso conto, perfettamente, che quella strada sarebbe stata senza ritorno.
Ora, che lo sfiorarsi delle labbra ha reso reale quel sentimento crescente e che mi ha reso con te complice totale di un rapporto d’amore, almeno per me senza confronto, sono consapevole che mai alcun rischio valeva la pena di essere affrontato. Oltre quel baratro che ci rendeva difficile la risalita abbiamo scoperto una via di luce vera che non avrebbe significato se non la consacrassimo in un determinato giuramento d’amore come sai e con che sai.
Quello che tu senti del tuo passato e che liminalmente non abbandona e quello che io sento nello stesso modo rappresentano il punto di partenza, per ricominciare, perché non addirittura protetti, un percorso di vita che sarebbe difficilmente ripetibile. Irripetibile perché una tale intensità di amore e di manifestazioni se la consideravamo irripetibile non credo che potrebbe essere di nuovo reale.
Oggi, solo un dono divino poteva realizzare tutto questo, e io anche se ricercatore di verità scientifiche, sento profondamente, non me ne voglia Dio, l’evento miracolistico di questo nostro amore.
Un amore che diviene ogni giorno più complesso e aderente alla realtà di quella vita che non possiamo non accettare nel momento in cui ne siamo profondamente immersi.
Un amore che nasce nello spirito del virtuale, che in esso si determina e si consolida e che vive momenti intensi di desiderio reale, pur accettato in tutte le sue difficoltà.
Mi riesce difficile pensare a qualcosa di più grande.
Bi per sempre, quello che mi hai dato sarà per sempre gelosamente presente in quel cervello e quel cuore, che seppur fatto di chimica, ora mi fa sorgere qualche dubbio sulla possibile risoluzione di un’equazione che tende ad un infinito diverso, sicuramente, da quello matematico.
Un infinito di gioia, d’amore, di complicità, di non vergogna al dirsi tutto, di armonia, di non prevaricazione, di totale compensazione nella felicità e nel dolore, di tutto quello che rende sublime un rapporto.
Io ti darò tutto questo perché ti amo e perché lo ritengo un minimo compenso alle tue sofferenze.
Nel desiderio di tutto ciò che tu sei, per sempre io ti darò il mio amore. Non so dire altro e oltre queste parole che non rendono certamente quello che io sento per te.
Massimo
La grande casa, che ci ha visto affrontare la malattia e le troppe perdite dei nostri cari, ci ha consentito di osare ad esternare in modo inequivocabile le fatiche intime di entrambi: è stata perfetta, discreta, complice. Per contro, ci ha proiettato in qualcosa che era davvero troppo per noi…. o almeno per me: la fine della nostra storia.
La nostra casa, ora spezzata, divisa da una sgangherata portaccia, ci mantenne comunque insieme, seppur nella dimensione rispettosa del bisogno di indipendenza di Massimo.
Ogni movimento era a me noto: la padella che friggeva uova e pancetta, il rumore delicato del caffè all’alba che scendeva dalla macchinetta elettrica, poi l’odore del Pedroni Anisette…… mi bastava accennare un “ehi…” perché mi rispondesse sempre: dimmi, son qui, vieni….
E ci incontravamo: il Covid con il periodo di “chiusura” ci ha visti condividere ottimi pranzetti, nell’armonia di sempre, assetati delle cose non dette nel periodo di distacco…. Affiatati, reciprocamente grati per la casa che ancora ci univa, io, Massimo, mia figlia Benedetta.
Tutti e tre gelosi di quello spazio e quei momenti che facevano riavvolgere il nastro fino a poco tempo prima, prima della “rottura”.
La casa, lei…. Ci ha custoditi, sempre. Ci ha consentito di ovviare bellamente ai vincoli della pandemia, ci ha regalato le esperienze uniche di veder schiudersi le uova e crescere i piccoli delle nostre Cocò. Ci siamo lasciati scegliere dai nostri felini: ciascuno dedicava le sue uniche attenzioni, a uno di noi, soprattutto la notte: i letti andavano tassativamente condivisi e non solo quelli….
Si discuteva a volte a tavola per i bocconi allungati più a uno che all’altro. La famiglia era grande, dopo l’arrivo improvviso di tre mici abbandonati proprio nel giardino, che si unirono ai nostri cinque gatti, accolti uno dopo l’altro da situazioni difficili per loro.
L’orto di Benedetta: ai suoi radicchi non diceva mai di no, anche quando viveva da solo, al di là della porta.
Seguì poi il tempo, per me durissimo, della consapevolezza di averlo perduto; sentivo la menzogna, e la vergogna, celata da disinvolti e frettolosi saluti, e ignoti impegni che lo portavano lontano da casa.
Partiva, tornava, ripartiva… a volte buttando lì per lì un’informazione, un dettaglio… ma solo quando non si trattava di uno dei suoi “segreti”: quelli, che gli leggevo in faccia da tempo, si sono esternati negli scritti che solo io non avevo ancora letto.
Già, perché i suoi cari sapevano, condividevano, forse anche approvavano, le sue nuove relazioni.
Io per loro non esistevo più, un altro pezzo di famiglia perduto.
Dall’ultimo soggiorno lontano, da dicembre 2021, riprese poi il costante contatto virtuale, che accorciò tempi e distanze.
Sapevo dov’era, mi inviava una foto ogni tanto, e qualche ridicolo messaggino, ma ciò che viveva non mi interessava. Non vi era spazio per ragionare di lui, del suo nuovo presagio di malattia. Controlli non ne volle fare, mai. E se davvero stava male, era giusto che cercasse in qualunque soluzione un po’ di conforto.
Da settembre stavo accompagnando mia sorella, l’unico membro rimasto della mia famiglia, consapevolmente, nel suo durissimo percorso di malattia. Il mio quotidiano surplus era dettato dal camminare a fianco a lei, la mia sorellona insostituibile, da sempre. Chiuderà per sempre i suoi grandi occhi a gennaio, per Covid, pochi giorni prima del suo sessantatreesimo compleanno.
Io ero oramai troppo complicata, indurita, appesantita, … inadatta a condividere ancora una volta dolore, schiava del mio indissolubile sentimento per lui.
A fine febbraio tornò a casa, e si presentò con la notizia di inappellabile sentenza di fine vita.
La nostra vita invece riprese, una parentesi ermetica chiuse quei periodi bui, ci ritrovammo e senza accenni alcuni, proseguimmo assiduamente insieme fino all’alba di quel 19 maggio, quattro stanze più in là.
L’ultimo regalo, forse il più prezioso che ho ricevuto.
In apertura, una installazione al Palazzo Reale di Milano (2016), foto di Olio Officina
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