Saperi

Siamo tutti così fragili

Libri per l’estate 2022. Due libri molto diversi tra loro, ma entrambi interessanti e forse uniti da un unico filo conduttore: la ricerca di senso da dare alla fragilità nostra, delle altre specie viventi e delle cose. Assaporando, lungo il percorso, il gusto della libertà [3. continua]

Alfonso Pascale

Siamo tutti così fragili

Anche l’usignolo. Vita di città, di bosco e di campagna (Mondadori, 2021)

Ho conosciuto l’autore, Niccolò Reverdini, in occasione di una delle sporadiche puntate di Linea Verde dedicate all’agricoltura sociale. Dal 1996 egli conduce la Cascina Forestina che si trova nel Basso Milanese. Iscritto all’Inps nel registro dei coltivatori diretti, ha visto la sua piccola azienda agricola inserita nel 2017 dal Ministero delle Politiche Agricole tra le dieci “eccellenze rurali” del territorio nazionale. C’è andato a vivere a trent’anni, lasciando la città.

Lì si è integrato con gli agricoltori delle cascine vicine, dividendosi tra i faticosi lavori agricoli e forestali e l’avvamparsi d’una mai sopita passione giovanile per gli studi letterari.

Una combinazione presto agevolata da un malanno alle vertebre dorsali che gli ha imposto l’astensione da sforzi fisici. Il libro racconta il Bosco di Riazzolo, quasi alle soglie della valle del Ticino: “scoperto da bambino, raggiunto da ragazzo e ritrovato per riprendere il cammino”. Ma a tracciare l’esperienza di vita e di lavoro dell’autore è la sua tensione conservativa dapprima orientata solo alla flora e successivamente anche alla fauna.

Con un compagno fedele a quattro zampe, Venerdì, un volpino che paga la lealtà al progetto di “Riserva naturale” cadendo “in un meschino agguato di campagna, per ordinaria mano venatoria”. Tra le attività aziendali, ci sono anche l’ospitalità agrituristica, la ristorazione, la raccolta diretta dei prodotti sul campo, la didattica in collaborazione con il Parco Agricolo Sud Milano, la mostra permanente delle acqueforti donate alla Forestina dalla pittrice Federica Galli.

Il libro racconta l’intelligente adattamento dei vecchi edifici nei nuovi locali e il progressivo avvio delle attività. Ad affollare il racconto ci sono gli ospiti di Mantova e Brescia venuti a Milano per lavoro, i bambini per le prime comunioni, le scolaresche, il cuoco, il cameriere. C’è la biodiversità bovina e avicola. C’è la storia di Gino sottratto precocemente da un tumore ai suoi impegni aziendali. C’è quella di Antonio. E la vicenda dolorosa dei vicini, Silvia e Sebastiano, i quali, sfrattati dalla Cascina Resta, si uniscono all’avventura della Forestina. C’è la storia di Lino che accoglie nella sua cascina il Cèser per rendergli la vita meno disagiata. Anche la Forestina entra in contatto con il Centro di mediazione al lavoro del Comune di Milano (CELAV) e si popola di giovani migranti africani, accolti in Italia come rifugiati politici o richiedenti asilo. Ad essi vengono proposti “tirocini di inclusione socio-lavorativa”.

In seguito, Alì e altri sette suoi colleghi vengono assunti con contratti a tempo indeterminato nelle diverse cascine del comprensorio. Nel libro si raccontano le loro storie: storie di agricoltura sociale, intrise di richiami storici e citazioni classiche. Virgilio, Dante, Bonvesin da la Riva e tanti altri, fino a Carlo Cattaneo, forniscono una selva di informazioni botaniche, culinarie, agronomiche e sociologiche. E le storie degli uomini sono ben assortite con quelle delle altre specie. Un saggio narrativo da leggere tutto d’un fiato perché, con stile avvincente, ci restituisce le mille forme della ruralitudine e, in particolare, del rapporto città e campagna nella storia millenaria di uno dei paesaggi più belli d’Italia.

Finitudine. Un romanzo filosofico su fragilità e libertà (Raffaello Cortina Editore 2020)

Telmo Pievani racconta la storia di un’amicizia: quella di due premi Nobel, lo scrittore Albert Camus e lo scienziato Jacques Monod. Il sodalizio è particolare perché i due scrivono insieme un libro sulla contingenza (o finitudine) della vita. Nell’immaginare quest’opera mai scritta, l’autore fa riferimento a ciò che Monod e Camus hanno davvero detto nella loro vita. Ne vien fuori una visione del mondo che oggi potrebbe esserci d’aiuto.

La fragilità della vita – questo è il messaggio – nasce dall’intreccio del caso e delle leggi di natura (la diade democritea di caso e necessità) ma da essa trae nutrimento la nostra irriducibile libertà. Questo romanzo filosofico propone un’etica del disincanto fedele alla scienza, che si faccia carico di tutta la lucidità della finitudine.

Ma anche della sua opacità poiché quasi sempre moriamo non conciliati, sfidando la morte fino all’ultimo. Nell’inquietudine di questa rivolta troviamo un senso alla finitudine. Noi siamo, infatti, i progetti per cui lottiamo, non la somma delle nostre rinunce. Siamo sempre esposti al rischio della sconfitta, del fallimento, dell’inatteso. Scrive Pievani: “La nostra esistenza è così bella – a volte un capolavoro – proprio perché finita, fragile, mortale; quindi, è la finitudine, paradossalmente, a darle una cornice di senso”. Impreziosiscono il racconto numerose citazioni del “De rerum natura” di Lucrezio. E così, anche alla luce di un classico del pensiero laico, l’investigazione delle diverse possibilità di sfidare la morte non si arena nelle apocalissi culturali del Novecento, a cui conducono alcuni filoni di pensiero esistenzialisti e nichilisti.

Ma al contrario fa emergere solidarietà, passione critica, una vita piena.

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