Visioni

Difendere gli agricoltori dall’arroganza dei cittadini inurbati

Alberto Guidorzi

Finalmente mi si sta dando ragione! Di fronte alle lamentele di molti nuovi cittadini inurbati che avevano comprato villette e costruito case in zone ex-agricole e che pretendevano che gli agricoltori limitrofi limitassero la protezione delle loro coltivazioni, la distribuzione di liquami o letami nei loro terreni e che operassero in ore che meno disturbavano la tranquillità di questi nuovi abitanti, io ho sempre sostenuto che dato che erano stati i cittadini ad appropinquarsi alle zone agricole e non queste ultime ad avvicinarsi alle zone abitate, gli inurbati non potevano pretendere di limitare le normali e tradizionali pratiche agricole.

Ho sempre anche detto che per ovviare a questi contrasti i piani regolatori dei comuni rurali avrebbero dovuto comprendere nei piani di lottizzazione delle ampie strisce di rispetto non coltivate e regolarmente acquistate dai proprietari di terre agricole ed il costo doveva essere incluso nei prezzi al metro quadro delle superfici lottizzate; evidentemente ciò avrebbe comportato un aumento dei prezzi delle superfici edificabili e quindi nulla di ciò è stato fatto. Infatti la risposta dei neo-aspiranti urbano-bucolici è sempre stata definita inaccettabile, anzi aggettivata come scandalosa, supportati in questo dalle amministrazioni comunali che vedevano in ciò un limite al poter lucrare sugli introiti delle lottizzazioni urbane.

Non solo, ma la stessa giustizia considerava dominanti le richieste degli abitanti delle collettività urbane rispetto alle giuste esigenze di un imprenditore agricolo.

Insomma per loro era logico che l’azienda agricola che aveva l’avventura di ritrovarsi confinante con un nuovo insediamento urbano, spesso creato su terreni a lui sottratti mediante esproprio, si addossasse l’onere di mal coltivare una parte dei loro terreni (e auto danneggiarsi) perché non doveva difendere dai parassiti le coltivazioni vicine agli abitati, non concimarle organicamente perché la pratica spandeva odori sgradevoli ed, al limite, doveva raccogliere il prodotto in ore consone al non disturbo della quiete degli inurbati; addirittura si pretendeva che i galli non cantassero all’alba o che le vacche non muggissero (o che i le campane del campanile restassero mute).

Almeno in Francia sembra che il mio modo di pensare sia stato finalmente recepito dai legislatori e che l’infinità di cause civili che intasano i tribunali possano trovare una soluzione perché è stata votata la seguente legge: “lunedì sera il parlamento di Parigi ha approvato una legge che protegge gli agricoltori e le altre imprese nello svolgimento delle proprie attività, purché lecite. Il Codice dell’Ambiente ha da allora stabilito che i suoni e gli odori che caratterizzano le aree naturali fanno parte del patrimonio comune del Paese”.

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