Visioni

Distinti ma uniti, la lezione di Avolio

Alfonso Pascale

Diciassette anni fa, il primo novembre, moriva Peppino Avolio. Lo conobbi nel dicembre 1977 al congresso costituente che dette vita alla Confcoltivatori quando lo eleggemmo per la prima volta presidente. Io ero un giovane dirigente dell’Alleanza dei contadini della Basilicata e lui era stato tanti anni prima vicepresidente dell’Associazione dei contadini del Mezzogiorno. Da allora, nonostante la differenza di età, il nostro rapporto di reciproca e affettuosa amicizia non si è mai interrotto.

Avolio proveniva da una famiglia antifascista, era stato internato nei lager nazisti per aver rifiutato l’arruolamento nell’esercito della repubblica di Salò. Diventato dirigente del Psi, era stato eletto deputato nel 1958 e confermato nel 1963. Rieletto successivamente in Parlamento nelle liste del Psiup, nel 1972 era tornato a militare nel Psi, dove aveva assunto la responsabilità della commissione agraria.

Guidava in quel periodo la sezione agraria del Pci Emanuele Macaluso. E insieme si erano convinti che fosse giunto il tempo di ricucire i rapporti tra l’Alleanza dei contadini e un’organizzazione collaterale al Psi, l’Unione coltivatori italiani (Uci), che se ne era distaccata negli anni dei burrascosi scontri a sinistra quando i socialisti avevano avviato la collaborazione di governo con la Dc.

Nel frattempo, finalmente la Federmezzadri si era decisa a distaccarsi dalla Cgil. Ma forse sarebbe meglio dire in un altro modo: non rappresentando più la Federmezzadri uno dei contenitori organizzativi più cospicui della Cgil – perché nel frattempo la categoria si era sensibilmente assottigliata ed altre si erano ingrandite – il più grande sindacato italiano non aveva più un vitale interesse a trattenerla e, dunque, le aveva concesso il permesso di decidere autonomamente del proprio destino.

A questo punto, Pio La Torre, che aveva sostituito Macaluso alla sezione agraria, e Avolio propongono di dar vita ad una organizzazione con caratteristiche del tutto nuove, attraverso un processo costituente a cui partecipano le tre strutture.

A tale appuntamento si arriva terribilmente in ritardo: un organismo che avrebbe dovuto essere protagonista della nuova agricoltura così come era uscita dalla “grande trasformazione” a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, viene creato quindici anni dopo a causa di resistenze politiche e ritardi culturali di vario tipo.

Spesso mi sono interrogato in questi anni sui motivi che ci spinsero, nel dare il nome alla nuova organizzazione a non adottare immediatamente il termine “agricoltori”. Si trattò di un ritardo, di un errore iniziale corretto dopo quindici anni, quando si crearono le condizioni per poterlo fare? Propenderei per questa soluzione, anche avendone discusso più volte con Avolio. Fin dall’inizio egli volle imprimere una svolta nel modo come la sinistra italiana guardava all’agricoltura, alle sue trasformazioni e alle contraddizioni che si erano aperte a seguito della sua tumultuosa modernizzazione. Intorno alla sua leadership autorevole e coinvolgente anche sul piano umano, si formò ben presto una leva di giovani dirigenti, operatori e studiosi dell’agricoltura. I mercati che incominciavano a diventare globali, le innovazioni tecnologiche sempre più dirompenti, le prime timide avvisaglie dei limiti dello sviluppo e della necessità di un ripensamento dei meccanismi della crescita economica e dell’uso delle risorse ambientali, costituivano le sfide da affrontare. Quel progetto, tuttavia, nonostante la sua forza innovativa, per quindici anni rimase monco. Solo dopo la caduta del Muro di Berlino e lo scandaloso disfacimento della Federconsorzi che anticipava l’imminente fenomeno di Tangentopoli, poté essere corretto un errore d’impostazione che era rimasto impresso anche nel nome di battesimo. Infatti, al V congresso, che si tenne il 25 giugno 1992, fu finalmente adottata l’attuale denominazione, Confederazione Italiana Agricoltori.

Per comprendere l’azione di Avolio nella Confcoltivatori è necessario un rapido cenno alla sua formazione politica e culturale. Egli aveva aderito alla corrente di Lelio Basso fin dal congresso socialista del 1957. Un congresso di svolta perché aveva sancito il distacco del Psi dall’esperienza del comunismo sovietico e la fine della lunga egemonia staliniana sul partito. Ma mentre Nenni aveva puntato alla rottura della collaborazione anche coi comunisti italiani e alla riunificazione coi socialdemocratici di Saragat, i “bassiani”, da sempre critici con lo stalinismo, avevano invece proposto un progetto di riorganizzazione della sinistra, unificando in un nuovo partito comunisti, socialisti, socialdemocratici e cattolici critici nei confronti della Dc. Una posizione contrapposta al progetto di avvicinamento progressivo tra Dc e Psi e al suo tramutarsi in collaborazione di governo nel 1963.

All’insediamento del governo Moro-Nenni, il gruppo di Basso e Avolio non avevano partecipato al voto, pur restando in aula, per rimarcare il proprio dissenso sul programma di governo e stigmatizzare un atteggiamento della propria parte politica, da essi considerato subalterno alla Dc. Sospesi dal partito, ne erano usciti per fondare il Psiup. Un percorso difficile e travagliato, scandito da un’acuta preoccupazione che gli ideali socialisti potessero essere posti a repentaglio dall’esperienza di governo e da un’ansia altrettanto forte di ricostruire in forme nuove e più ampie la sinistra, come base necessaria per l’alternativa democratica alla Dc e alle forze conservatrici.

E’ un’idea che Avolio non abbandonerà mai, neanche quando agli inizi degli anni Novanta non ci saranno più i tre grandi partiti della prima Repubblica. Si può avvertire, in questa convinzione inossidabile, l’influenza del pensiero politico di Basso che aveva teorizzato a più riprese – ma sempre nell’alveo dell’antagonismo di stampo marxista tra oppressi e oppressori – il processo verso il socialismo, cioè verso una società nuova di persone sempre libere e uguali, come incessante percorso democratico di una sinistra che si unisce sulla base di una scelta etica, prima ancora che politica, per evitare compromessi facili e accomodanti.

Da qui nasce in Avolio – nei passaggi storici che impongono alle forze della sinistra di cambiare rotta – un atteggiamento di ripulsa verso atti che tendono a rinnegare il proprio passato di sinistra o ad aggregare gruppi della sinistra con quelli che non si ispirano ai suoi valori originari.

Ma lo stesso rigore si può avvertire quando egli prende posizione a tutela delle diversità associative, derivanti da esperienze e culture specifiche, e contro le “ammucchiate” organizzative indistinte e prive di contenuti valoriali comuni. Oppure quando si tratta di difendere il settore da visioni sistemiche che vogliono l’agricoltura schiacciata per forza in un indistinto aggregato agro-alimentare-industriale.

“Distinti ma uniti” è la proposta che egli lancia alle altre organizzazioni agricole per far fronte ai problemi comuni degli agricoltori. “Patto tra pari per il progresso” è lo slogan coniato appositamente per prendere le distanze dalla tesi che vede l’agricoltura necessariamente subalterna in un bloccato sistema agro-industriale-alimentare. Al fondo di siffatte parole d’ordine c’è una cultura politica in cui la difesa strenua dell’autonomia e la presa di distanza da ogni rischio di contaminazioni culturali prevalgono su ogni altro interesse.

Ma questa sua caratteristica non è affatto in contrasto con la capacità di confrontarsi in modo aperto con culture diverse. E a tale confronto si dedica con passione creando vasi comunicanti tra la nostra organizzazione e altri centri di elaborazione influenzati da Manlio Rossi-Doria e Giuseppe Medici.

Avolio aveva potuto accumulare un’esperienza formidabile di promotore di dibattiti culturali, quando gli era stata affidata dal 1964 al 1968 la responsabilità di direttore del giornale “Mondo Nuovo”, organo ufficiale del Psiup. E aveva assolto a tale compito proprio mettendo a confronto apporti provenienti da ambienti anche molto lontani tra loro, con l’intento chiaro e determinato di produrre una nuova cultura della sinistra. Aveva così affinato una particolare capacità a cogliere le novità utili ad ampliare l’iniziativa politica, in grado di incidere in una società diventata sempre più complessa.

Quando nel 1985 lasciai la Basilicata per assumere incarichi di direzione nazionale nella Confederazione ebbi la fortuna di accompagnare Avolio, per un certo periodo, nella sua costante attività internazionale.

E così, approfittando del diradarsi delle relazioni della Coldiretti e della Confagricoltura con la Federazione internazionale dei produttori agricoli (Fipa), partecipiamo, nel 1988 ad Adelaide, in Australia, alla conferenza generale di questo organismo internazionale accreditato presso l’Onu e le altre istituzioni internazionali.

A conclusione della conferenza, Avolio viene eletto membro del comitato esecutivo come unico rappresentante italiano. Successivamente egli propone la costituzione del Comitato mediterraneo in seno alla Fipa e nel 1991 ne diventa il presidente, avviando così un’intensa attività sui temi dell’agricoltura nella loro dimensione globale. Ciò contribuisce, in via diretta, a facilitare anche la collaborazione tra arabi e israeliani. Nel Comitato, infatti, già prima della firma del Trattato di Oslo, arabi e israeliani operano alla pari attorno ai problemi dell’acqua e della diversificazione produttiva.

Una riunione del Comitato mediterraneo, presieduta da Avolio, si svolge, per esempio, a Gerusalemme, nella sede della “Knesset” – il Parlamento di Israele – nella quale agricoltori israeliani e arabi siedono, per la prima volta, insieme.

Con il consenso e l’appoggio dell’Onu, Avolio promuove l’incontro (il primo dopo 24 anni di conflitto) tra le organizzazioni agricole della parte nord (Turchia) di Cipro e della parte sud dell’isola (Grecia). Il segretario dell’Onu lo ringrazia pubblicamente per questi suoi sforzi in favore della pace e della collaborazione nel Bacino mediterraneo, in occasione del cinquantesimo anniversario della Fipa.

L’impegno internazionale di Avolio si collega idealmente con le campagne condotte da “Mondo Nuovo”, quando egli aveva diretto il giornale a metà degli anni Sessanta. Le iniziative avevano riguardato la pace nel Vietnam e la sollecitazione di un accordo di collaborazione tra israeliani e palestinesi, condizione decisiva per la pace nel Mediterraneo, da Avolio considerato la “cerniera” dei rapporti tra il Nord e il Sud del mondo. A questo scopo si era anche recato con Tullio Vecchietti al Cairo, per un incontro con Nasser, che condivideva personalmente questa linea, la quale, però, era osteggiata dai “fratelli musulmani”.

Nella continuità di tale impegno per quasi mezzo secolo sui temi internazionali, si può forse ricercare l’eredità morale e politica più significativa che Avolio ha lasciato all’agricoltura italiana e a quanti di noi hanno avuto il privilegio di collaborare con lui.

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