L’olio EVO italiano – per tutti: l’olio extra vergine d’oliva – è un asset nazionale strategico che rientra nel sistema-polo economico enogastronomico. Non possiamo assistere, come vecchi tecnici, a incompetenze, diatribe, ribasso dei prezzi delle olive e olio al frantoio, e ad assenza di strategia nazionale.
Oggi ci può essere una grande opportunità di Ocm, se integrata senza gelosie, piani al ribasso e con certificazione comunicativa.
Le importazioni di olio di oliva, Evo e non, sono necessarie e vitali, dicono tutti i tecnici esperti. In Italia manca olio, ma sempre facendo differenze tipologiche.
Il fabbisogno nazionale annuo è di 1 mio/ton, nelle annate migliori ne produciamo circa 1/3. L’importazione serve per le aziende confezionatrici: ma è proprio per questo che una “piramide” di origine e di certificazione è ancor più necessaria.
È molto difficile anche per un consumatore nazionale esperto capire perché sugli scaffali ci sono oli extra vergini di oliva a 4 euro al litro e oli Evo italiani a 12 euro. C’è l’aceto balsamico a 3 euro e quello Dop selezionato anche a 18 euro.
Il consumatore deve a colpo d’occhio capire. Il marchio “Evo” deve diventare l’unico a dare sicurezza del 100% dell’origine, ma la stessa origine va ben identificata in etichetta.
Bisogna puntare a un obiettivo comune, bisogna chiedere un risultato e una responsabilità alle direzioni consortili. Evo e vino italiano sono due asset importanti, ma al consumo hanno due strategie diverse per vincere.
L’Evo è molto assimilabile al mondo dei “Grana”.
Occorre subito una strategia politica e di contatto mercato-consumo molto settoriale, verticale e non orizzontale. Dare ragione a tutti, non è utile al comparto.
Non credo che commissioni nazionali risolvano le diverse sfaccettature critiche del mondo Evo: aggiungere burocrazia non va d’accordo con il post-Covid, finché questo non sarà debellato. Bisogna fare differenze di merito chiare, non regionalistiche e politicanti. Bisogna piantare ulivi, c’è chi ha iniziato: la cura, il controllo, la gestione dei nuovi impianti è fondamentale.
Ben vengano gli uliveti dei grandi frantoi che confezionano e delle aziende che imbottigliano: la filiera si completa e si chiude. Buon segno. Occorre però un piano nazionale di modernizzazione delle tecniche di impianto e allevamento che non tutte le varietà nazionali consentono: resteranno uliveti di tradizione per i cru dell’Evo. Ottima cosa che fa anche chiarezza al consumatore. Solo così sono capiti anche prezzi in scaffale diversi al litro.
Non diventiamo un paese mass-market per problemi contingenti che con coraggio si devono risolvere. Facciamo le differenze di merito necessarie.
L’ Horeca di qualità è il mercato principale, oggi in crisi. Ci vuole una Ocm-Italia nel mondo, con il solo marchio Evo-Italia®. Ci vogliono investimenti a monte e a valle, cospicui e intelligenti, che siano sinonimo di valore. Quindi basta giocare sul rapporto qualità/prezzo che tira al ribasso. Promozioni e campagne di consumo devono puntare tutto sul rapporto identità/valore e su un tipo di consumo sempre più soggettivo, privato, diretto e non collettivo. Aggregazione e linguaggio comune sono il motore da diffondere, ma esistono tanti consumatori diversi che necessitano di indirizzi diversi. Poi, come nel vino, il successo e il risultato non si raggiunge dando colpe agli altri, implorando escamotage o cambi di percorso o agevolazioni all’UE. Mentre alcuni Ocm interregionali o per tipologia ma con forte peso sostanziale, innovazione produttiva e più informazione al consumatore italiano e straniero, sono gli unici veri modi per avviare un percorso di 10-15 anni, non di 2-3, da modulare nel periodo se ci sono le motivazioni.
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