Quando si parla di scienza spesso si confonde il concetto attuale con quello in voga fino ai primi decenni del novecento. La scienza classica riteneva, infatti, di poter dare un’immagine totale del mondo e di poter, quindi, racchiudere l’intero sviluppo del mondo in alcune formule matematiche.
A confronto con quello della scienza classica, l’atteggiamento della scienza contemporanea, dopo il principio di indeterminazione di Werner Heisenberg e i risultati conseguiti sulla base di astratte strutture puramente ipotetiche, è assai più guardingo.
Il filosofo Nicola Abbagnano ha descritto così la differenza tra i due approcci: “La scienza classica si credeva in possesso della razionalità assoluta e perfetta e attribuiva ad uno stato provvisorio di ignoranza o di dubbio le difficoltà e le antinomie che essa incontrava nella delucidazione di quella razionalità in sé perfetta. La scienza contemporanea ritiene che la razionalità sia un processo di faticosa formazione, nel quale le difficoltà e le antinomie rientrano come momenti critici di indecisione e di travaglio”.
La scienza classica parlava in termini di evidenze e di necessità; la scienza contemporanea parla in termini di convenzioni e di probabilità.
Le conseguenze di rilievo dell’evoluzione del concetto di scienza si possono individuare e riassumere nei seguenti punti:
a) sostituzione del concetto metafisico-dogmatico di “legge” con il concetto di “legge tendenziale”, in senso probabilistico;
b) una nuova metodologia scientifica, che non si limita più a lavorare “in vitro”, proponendosi come meta invalicabile la riproduzione in laboratorio della “natura” e dei suoi processi, bensì “inventa”, per così dire, più che scoprire, la natura stessa, producendo direttamente fenomeni, a prescindere dal fatto che essi trovino o meno riscontro nella “natura”;
c) un nuovo concetto di spazio e di tempo come “continuum” bidimensionale, con conseguente superamento delle forme schema “a priori” dello schema trascendentalistico kantiano;
d) elaborazione del concetto di “campo”, che porta all’identificazione della massa con l’energia;
e) teoria della relatività, che considera appunto la scienza classica come un caso limite della relatività.
L’emergere di questi cinque punti implica l’abbandono delle concezioni meccanicistiche e metafisicizzanti insieme con tutte le forme di sapere scientifico che ad esse si richiamano sia nel campo della fisica e in genere delle scienze naturali che in quello della sociologia e delle altre scienze sociali.
Il progresso del sapere scientifico viene a dipendere essenzialmente da un’impostazione operazionistica, nella quale e per la quale esperimento e produzione di nuovi dati, prova di verifica e processo reale fondamentalmente coincidono.
La scienza è innanzitutto una questione di metodo. Come spiega la senatrice Elena Cattaneo nel suo libro Armati di scienza (Raffaello Cortina Editore, 2021), sono poche ma inderogabili le regole che confermano la validità di un’acquisizione scientifica.
La prima è la trasparenza e riproducibilità. Ogni passo del processo va descritto accuratamente e pubblicamente per dare la possibilità alla comunità di esperti di ripercorrerlo e sperimentarlo per giungere (si spera) alle stesse conclusioni, e da lì ripartire.
Le altre regole riguardano la consistenza numerica dei campioni analizzati che deve essere rappresentativa della realtà, la definizione di “oggetti” o elementi che, piccoli o enormi, devono produrre misure quantificabili, il numero di repliche con lo stesso risultato e l’assenza di condizionamento da parte dell’operatore.Infine, la prova più difficile è resistere a ogni tentativo di smentita, attraverso esperimenti “killer” che sfidino il disegno sperimentale per capire quanto le prove siano attendibili.
Per quanto riguarda il rapporto tra scienza e democrazia, bisogna preliminarmente tener conto di un elemento imprescindibile: le questioni scientifiche non si decidono usando la regola della maggioranza. Hanno invece bisogno del tempo necessario alle nuove acquisizioni di essere rese sicure ed efficaci.
Un conto è un fatto verificato e consolidato da prove e che potrà sempre essere messo in discussione da nuovi dati scientificamente acquisiti.
Un altro conto sono le opinioni prive di prove o espresse da persone che esulino dal perimetro di coloro che utilizzano il metodo scientifico.
Nella scienza non esiste il principio di autorità, ma è il metodo a determinare (pubblicamente) la validità o no di ciò che viene fatto.
Questo procedimento garantisce che, nella costruzione della fiducia, tutti gli attori siano chiamati in causa.Raccontare ai cittadini la scienza nel suo farsi dovrebbe essere, dunque, il nuovo compito degli scienziati e dei ricercatori. Compito che essi dovrebbero svolgere alimentando dentro di sé e contribuendo a far crescere negli altri una coscienza civile diffusa sull’importanza del metodo scientifico.
L’avvenire delle nostre società non dipende esclusivamente dallo sviluppo scientifico, bensì anche dalla capacità di valutazione critica globale, cioè da una cultura integrata in cui la scienza riscopra la sua funzione rispetto al significato dell’uomo senza pretendere di esaurirlo.
“Ho imparato – scrive il sociologo Franco Ferrarotti – che il ricercatore è sempre dentro, non fuori, della ricerca. Ho imparato, in altre parole, che il ricercatore è sempre, anche lui, un ricercato”.
La funzione e il significato della scienza vanno individuati nelle sue stesse operazioni. Sorreggono, dal di dentro, come un’impalcatura che continuamente si rinnovi, il suo procedere. Abbiamo visto che la scienza è soprattutto metodo. Ma lo scienziato e il ricercatore non possono rinunciare alla possibilità di scegliere i contenuti e i temi di ricerca.
Dovrebbero farlo in un confronto diretto con la politica e con la società. Nel momento in cui stabilisce un rapporto diretto con la politica e con la società, la scienza cessa di essere una comunicazione a una sola via ovvero un procedimento essenzialmente autoritario in cui c’è chi agisce e chi subisce. Ma si trasforma in dialogo costante.
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