Visioni

Non tutti i mercati contadini sono uguali

Alfonso Pascale

Degli abitanti di Tor Pignattara che il sabato mattina fanno la spesa al mercato contadino sono in parecchi a non essere ancora rientrati dalle vacanze. E allora stamattina ne ho approfittato per intrattenermi più a lungo e fare così quattro chiacchiere con alcuni agricoltori, rannicchiati nei loro stand per difendersi dal solleone.

Del resto, la filosofia della vendita diretta è proprio questa: favorire la conoscenza a tu per tu fra consumatore e produttore, scambiare reciprocamente saperi ed esperienze, amalgamare il senso del dono con quello del mercato.

È l’”intimità” di questa relazione che fa la differenza tra il mercato contadino e il supermarket. È l’esperienza di condivisione e comunicazione habermasianamente “orientata all’intesa” e, soprattutto, il reciproco aiuto, a sostanziare lo scambio economico in questa modalità di vendita.

Qui sta l’innovazione sociale che fa di un mero scambio economico uno scambio di prossimità.

Gianni Belardi, Angelo Latini e Stefano Grazioli sono tre bravi imprenditori agricoli. E te ne accorgi subito appena incominciano a raccontarti le loro storie di vita.

Il padre di Angelo si chiamava Gino: era un mezzadro marchigiano a cui l’Ente Maremma aveva assegnato, negli anni Cinquanta, un podere a Ladispoli. Sognava che i suoi figli facessero un altro mestiere. Troppo dura la vita in campagna e troppo bassi i redditi agricoli. Ma Angelo, completata la scuola media superiore nel 1986, volle mettersi accanto al padre per aiutarlo a condurre l’azienda. Il suo cruccio ora è che suo figlio non ha alcuna voglia di fare l’agricoltore. La pensa come il nonno.

Gino ha incominciato a fare la vendita diretta una quindicina d’anni fa. Mentre, nella famiglia di Gianni, c’è una tradizione antica per tale attività: suo nonno, Giuseppe, ha avuto sempre un banco nei mercati rionali di Roma, dove poter vendere direttamente i suoi prodotti ortofrutticoli. Ora Gianni e sua moglie gestiscono un agriturismo a Ladispoli. E anche il figlio ha deciso di partecipare alla conduzione dell’azienda. Per questo Gino non riesce a celare una punta d’invidia nei confronti del collega.

Stefano è un apicoltore di S. Cesareo. Oltre a condurre la propria azienda, collabora con la Fattoria Sociale Sabrina Casaccia di Bracciano, un centro diurno per persone con disabilità gestito dall’AAIS (Associazione Assistenza Integrazione Sociale). La Fattoria sta realizzando un progetto per fare miele Millefiori e quest’anno sono arrivati a produrne 300 chili. Mettendo a disposizione la sua professionalità, Stefano è un aiuto prezioso.

Conosce, dunque, il Terzo settore. Allora cosa s’inventa Stefano? Mette insieme una ventina di produttori e promuove l’Associazione Futura, una onlus per gestire il mercato contadino. Gli agricoltori sono contenti della gestione e lo eleggono presidente. Essendo un’associazione di promozione sociale, gli utili non vengono ripartiti tra i soci. Ma sono destinati a finanziare progetti di cooperazione internazionale in Kenya. Così anche la Parrocchia S. Barnaba ha deciso di dare una mano agli agricoltori: ha messo a disposizione uno spazio dove collocare gli stand in cambio di un contributo volontario.

I sabati al mercato contadino sono così diventati appuntamenti irrinunciabili per molti adulti e bambini. Oltre a fare la spesa, si partecipa ad iniziative culturali e ricreative organizzate dall’Associazione Futura. Un modo intelligente per contribuire a ri-vitalizzare la comunità. Che è poi la funzione originaria dell’agricoltura.

Domando incuriosito: “Chi sono i clienti del mercato contadino?”. Mi risponde Gianni: “Provengono dai ceti sociali più disparati. Comprano da noi, ma poi vanno anche al negozio specializzato o al supermercato. Da noi acquistano quello che ritengono utile. È come un rito a cui si partecipa per motivi affettivi”.

“Il rapporto che il cliente cerca con noi – aggiunge Angelo – è fondato sulla lealtà e la fiducia, un rapporto personalizzato”. “Spieghiamolo”. “Noi gli raccontiamo il prodotto che vendiamo e loro ci riferiscono quello che hanno letto o sentito dire su quel prodotto. E così ci chiariamo, sciogliamo dubbi ed equivoci, ci arricchiamo reciprocamente”. “Sono diversi i clienti – dice Gianni – che vengono a trovarci in agriturismo, così vedono l’azienda com’è fatta, mangiano e dormono da noi. E così la fiducia si alimenta ulteriormente”.

Ecco, quel che più conta al mercato contadino non è tanto il valore del cibo in sé ma è la relazione interpersonale che si stabilisce tra il singolo produttore e il cittadino acquirente. È la qualità della relazione che garantisce anche la qualità del prodotto.

Certo, anche al negozio specializzato troviamo una relazione analoga tra commerciante e cliente. Ma il commerciante si fa garante di una merce che egli non produce e di cui può parlare per sentito dire.

Insomma, con la relazione interpersonale che si stabilisce al momento del rito del sabato mattina, il mercato “muto” e “anonimo” – che caratterizza ad esempio la grande distribuzione – recupera l’interattività personalizzata tra soggetti che nello scambio economico si danno reciproco aiuto.

Osservo: “Tutto vero quello che dite. Ma i beni alimentari, ovunque siano venduti, sono garantiti dalle normative, dai controlli pubblici e dai sistemi di certificazione della qualità”. “D’accordissimo! – rispondono i miei interlocutori – La vendita diretta aggiunge un elemento in più: la relazione interpersonale”.

“Che deve essere genuina – ribatto – cioè riconosciuta da tutti. Se il rapporto tra il produttore e il consumatore diventa una forma d’imitazione della relazione, si viene ad intaccare la reputazione. E questa da buona può diventare cattiva. Sono dell’opinione che il rapporto non è genuino se è oscurato e, di fatto, sostituito dalla relazione tra il gestore del mercato (con il suo logo, i colori delle sue bandiere, i suoi messaggi e i suoi interessi) e i visitatori-acquirenti. Alludo a Campagna Amica e alla Coldiretti”.

Gianni annuisce e dice che il sabato la sua famiglia si divide. Lui vende i prodotti al mercato di Tor Pignattara e la moglie e il figlio vanno al Circo Massimo, il regno di “Campagna Amica”. Aggiunge: “Spendo un botto per avere lo stand alla Coldiretti. Cento euro a metro quadro. Siccome ne prendo venti, mi accollo la spesa di duemila euro al mese. E allora come rientro? Mi rifaccio sui clienti, alzando i prezzi. Nessuno si lamenta. Sono tutti giornalisti, professori, politici, magistrati e sono disposti a pagare qualsiasi prezzo. A Tor Pignattara, invece, abbiamo ragionato a lungo con la Parrocchia e il Comitato di quartiere per tener conto delle esigenze della comunità. Ci hanno detto che anche chi ha un reddito basso deve potersi nutrire di frutta e verdura. Ma i nostri costi aziendali non li possiamo ridurre più di quanto facciamo. E allora abbiamo promosso l’associazione di promozione sociale, riducendo al massimo i costi di gestione del mercato. E così possiamo vendere a prezzi più contenuti”.

Al Circo Massimo la moglie e il figlio di Gianni non devono sforzarsi di raccontare i prodotti. I loro clienti non li ascoltano. Leggono estasiati su “Repubblica” e “La Stampa” il verbo di Petrini e le veline della Coldiretti sui mitici e nostalgici ritorni all’agricoltura di una volta. E come comprano i giornali, senza badare alle frottole che questi dispensano, così comprano alla cieca la frutta e la verdura a “Campagna Amica”, senza badare ai prezzi.

Ci vuole, dunque, discernimento. C’è mercato contadino e mercato contadino. Non facciamo di tutta l’erba un fascio.

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