Visioni

Si fa un gran parlare di agricoltura rigenerativa

Alberto Guidorzi

Agricoltura rigenerativa. Innanzitutto, diamone la definizione:

“è un’evoluzione dell’agricoltura convenzionale, che riduce l’uso di acqua e altri input e previene il degrado del territorio e la deforestazione. Protegge e migliora il suolo, la biodiversità, la resilienza climatica e le risorse idriche, rendendo l’agricoltura più produttiva e redditizia”.

Dalla definizione sembra che l’agricoltura convenzionale (sempre limitando la discussione a chi la fa professionalmente) si sia evoluta sprecando acqua, concimando a dismisura e curando anche in assenza di parassiti. Si parla di degrado del territorio, ma anche qui occorre intenderci, perché se per degrado del territorio s’intende il cambiamento del paesaggio occorre analizzarne le cause.

Circa la deforestazione, questa è intimamente legata alle produzioni che si ricavano dalle terre coltivate da secoli rapportate alla popolazione che richiede cibo.

L’agricoltura ha sempre protetto e migliorato il suolo, se non l’avesse fatto, come si vuol far credere, le terre sarebbero diventate improduttive da tempo, e invece supportano e continuano a farlo, con produzioni impensabili solo 70-80 anni fa.

In termini di calorie alimentari, una caloria di energia derivante dal petrolio produce 9,5 [chilo] calorie di energia alimentare (solo di granella). Inoltre, vengono prodotte 11,8 [chilo] calorie di energia di scarto per nutrire il biota del suolo (Jack DeWitt 2023); si tratta della massa di radici e steli, della quale il 90% serve al biota per smobilizzare elementi nutritivi per la coltura successiva ed il restante 10% si aggiungerà alla massa di humus già presente nel terreno).

Non vi è prato o bosco che fotosintetizza tante calorie come il mais, anche se è giusto dire che è la pianta coltivata più fotosintetizzante che esista.

Pretendere il miglioramento e la protezione della biodiversità va di pari passo con il cambiamento del paesaggio, non solo, ma quale biodiversità dobbiamo preservare in ambiente agricolo? Anche quella che danneggia i raccolti?

L’agricoltura ha fatto la sua parte per concorrere alla resilienza climatica, basta solo pensare quanta CO2 immagazzinano le masse vegetali attuali dei raccolti e le cifre sopra lo confermano. Certo oggi si coltivano più specie irrigue, ma con i moderni sistemi di irrigazione si consuma relativamente molta meno acqua rispetto ai sistemi di irrigazione di un tempo ed a parità di superficie.

L’ultima caratteristica citata, cioè “più produttiva” è un traguardo che abbiamo già raggiunto senza inventare l’agricoltura rigenerativa. Sul più redditizia invece vi è da discutere perché oggi gran parte del reddito che dovrebbe andare anche agli agricoltori è incamerato dalla filiera che trasforma e porta il cibo ai consumatori.

Vogliamo scendere un po’ più nel dettaglio e analizzare molto sinteticamente i fattori elencati nella definizione e vedere se la vituperata agricoltura convenzionale attuale deve rigenerarsi come tantissima opinione pubblica pensa?

Per avere un termine di confronto prendiamo a riferimento l’agricoltura degli anni 50-60 del secolo scorso. Su un ettaro di terreno attuale si produce il triplo e anche più di quanto si produceva prima, e quindi l’uso del fattore terra è stato diminuito di almeno tre volte. È vero che si sono dovuti aumentare gli input, e visto che si produce una massa vegetale acquosa è logico che se aumenta la massa devo aumentare anche l’acqua; se poi le piogge non sono sufficienti si deve intervenire con l’irrigazione.

Il 40% della produzione agricola dipende dall’acqua. Ricordo però che nessuno irriga più per scorrimento e tanto meno fa scorrere l’acqua in fossi e condotte a cielo aperto dove l’acqua si dimezza per evaporazione. Oramai si parla di irrigazione goccia a goccia, di irrigazione a microgetto e di fertirrigazione e nessun agricoltore fa a meno di tensiometri e sonde volumetriche per stabilire quanta acqua vi è nel terreno, e, sulla base dei reali bisogni rifà solo ciò che manca. Circa la concimazione nessuno, profano di agricoltura, sa che il periodo in cui valeva la regola: “se il terreno ha fame di uno è meglio darne due” è ormai finito da tempo; esso valeva quando esistevano i parametri pre-crisi del petrolio del 1973. Anzi oggi avanza a grandi passi il sistema degli input distribuiti con precisione, ossia solo là dove ve n’è bisogno; la tecnologia satellitare e dei droni avanza inesorabile in questo campo.

Un dato recente ci dice che in Germania l’uso dei fertilizzanti azotati è diminuito del 55%, quella del fosforo del 60% e quella del potassio del 50% (Olaf Zinke – Agrarheute). Lo stesso dicasi della Francia. Perché una tale riduzione? La causa è il prezzo dei fertilizzanti e quindi prima di tutto si è fatto più ricorso a calcolare le quantità da distribuire premettendo accurate analisi del terreno e basandosi su studi sulla fisiologia delle piante. Inoltre, la genetica non si stanca di proporre varietà più resilienti in fatto di nutrimento, anzi se avessimo liberalizzato gli OGM sicuramente avremmo ottenuto piante che avrebbero prodotto di più con meno. Un terzo fattore, non meno importante per capire questi numeri, sono stati gli aumenti di prezzo dei fertilizzanti a causa della guerra russo-ucraina, in altre parole gli agricoltori hanno centellinato le concimazioni per avere costi congrui ai prezzi delle derrate agricole che non aumentavano proporzionalmente.

Circa la modifica del paesaggio, mi piacerebbe chiedere alle tante “vispe Terese” esistenti, ma rimpiangete l’abbandono della terra da parte dei vostri avi? Se lo faceste sappiate che patireste la fame!

L’esodo rurale è stata un’evoluzione sociale, non sono le macchine agricole che hanno scacciato i braccianti dalla terra, ma l’inverso: loro se ne sono andati per vivere una vita meno grama e l’agricoltore è ricorso alla meccanizzazione; solo che le macchine hanno bisogno di spazi e quindi siepi e alberate erano d’inciampo. Certo, in queste siepi e su questi alberi vi era una biodiversità che prima viveva anche dei raccolti dell’agricoltore, ad esempio, i passeracei nidificavano numerosi in siepi ed alberi, ma si nutrivano molto di semi seminati e di quelli pronti per la raccolta. Non vi suggerisce nulla il fatto che i campi una volta erano disseminati di fantocci comunemente chiamati “spaventapasseri”?

La deforestazione non è colpa dell’agricoltura, infatti in Europa ed anche in Italia i boschi sono aumentati, eppure abbiamo sviluppato una florida l’agricoltura. La colpa è della speculazione sulle derrate in quanto ormai hanno assunto una valenza strategica a livello mondiale. Non dimenticate mai che il mercato delle derrate agricole è generato da solo un 15/20 % di quelle prodotte nel mondo (l’80% è auto-consumato e non fa mercato). Pertanto, basta una variazione delle scorte mercantili di un 2-3% che è sufficiente per scatenare la speculazione.

L’agricoltura è già più produttiva e quindi non abbiamo bisogno di “rigenerarla”, ma solo di rispettarne i canoni, mentre il fatto di renderla più o meno redditizia non dipende certo dall’operare degli agricoltori, bensì dalla globalizzazione dei mercati. Tuttavia, è altrettanto vero che se mangiassimo solo e unicamente locale e a km 0, come molti ingenuamente auspicano, i piatti di molte famiglie rimarrebbero vuoti e contemporaneamente le tasche degli agricoltori si riempirebbero di denaro sottratto ai consumatori a causa dell’instaurarsi di un rapporto domanda/offerta squilibrata a favore della domanda; cioè i penalizzati sarebbero i consumatori, cioè proprio quelli che ora colpevolizzano il sistema agricolo attuale. Sicuramente non è agricoltura rigenerativa quella perorata da chi dice che occorre ritornare a seminare sementi locali (che non esistono più) e azzerare l’uso delle sostanze chimiche in agricoltura o ridurre i consumi di acqua di irrigazione.

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