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L’olivicoltura marchigiana si interroga sul futuro

Comunicazione, tutela e prevenzione in ambito fitopatologico nel settore oleario sono tra i punti cardine su cui si è sviluppata la tavola rotonda che si è tenuta lo scorso15 marzo nell’ambito delle celebrazioni dei 140 anni di storia dell’Istituto agrario “Celso Ulpiani”, cui ha preso parte anche il direttore di Olio Officina, Luigi Caricato. Per poter restituire un quadro il più dettagliato possibile del settore attuale, è stato fondamentale mettere in dialogo figure professionali appartenenti a diversi ambiti di competenza

Roberto Bruni

L’olivicoltura marchigiana si interroga sul futuro

Per poter auspicare alla crescita di una determinata realtà – sia questa un comparto, un’iniziativa o un progetto – serve confrontarsi con più figure possibili. In occasione delle celebrazioni per i 140 anni di storia dell’Istituto di istruzione superiore “Celso Ulpiani”, in cui si alternano eventi e incontri, si è recentemente tenuta la tavola rotonda Olivicoltura marchigiana: strategie di marketing territoriale moderata dal professor Roberto Bruni.

Ricca di spunti, i relatori hanno contribuito a fornire nuove prospettive da concretizzare per lo sviluppo del comparto all’interno del territorio interessato.

Il primo intervento è stato curato dalla dottoressa Barbara Alfei, responsabile del settore olivicoltura e Capo Panel di Amap, l’Agenzia marchigiana per l’Innovazione nel Settore Agroalimentare e della Pesca, la quale ha affrontato la proposta di un modello di olivicoltura che miri al recupero della biodiversità olivicola.

Già negli anni scorsi, l’Agenzia ha contribuito allo sviluppo dell’olivicoltura marchigiana attraverso la caratterizzazione e la valorizzazione del patrimonio olivicolo locale, il recupero e la conservazione del germoplasma olivicolo marchigiano e le attività di supporto agli olivicoltori.

Il punto di forza della Regione risiede nella qualità. La ridotta superficie olivetata, così come l’estensione media delle singole aziende, necessitano di essere supportate da un lavoro che guardi alla tutela e alla qualità dell’extra vergine. Le Marche possono infatti vantare numerosi prodotti a Denominazione di origine, come la Dop “Cartoceto”, la Dop“Oliva Ascolana del Piceno” e l’Igp “Marche”. Accanto all’ampia diffusione di varietà presenti sull’intero territorio nazionale quali il Frantoio e il Leccino, l’esistenza di numerose varietà autoctone, come Raggiola, Raggia, Rosciola Colli Esini, Coroncina, Mignola, Orbetana, Piantone di Mogliano, Piantone di Falerone, Sargano di Fermo, Ascolana tenera, Carboncella e altre ancora, rappresenta un punto di forza in una strategia di marketing che preveda la produzione di prodotti unici e irriproducibili in altri territori, capaci di intercettare i gusti e le aspettative di consumatori sempre più attenti alle caratteristiche degli oli di qualità. Proprio puntando sulle varietà autoctone il comparto olivicolo-oleario marchigiano può esprimere la sua specifica identità e quindi distinguersi sul mercato.

Quindi, che l’olivicoltura marchigiana possegga delle ottime potenzialità per migliorare costantemente è indubbio, soprattutto perché esistono tutti i presupposti perché questo avvenga. A preoccupare il comparto locale sono, infatti, i pericoli esterni capaci di minacciare la produzione. Tra le principali avversità olivicole vi è la mosca olearia, Bactrocera oleae Gmelin, ricorda il professor Nunzio Isidoro, ordinario di Entomologia Agraria e Applicata presso l’Università politecnica delle Marche.

Tale mosca rappresenta un fattore in grado di vanificare gli sforzi degli agricoltori sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. È, quindi, necessario rivolgere molta attenzione alle attività di monitoraggio e controllo delle popolazioni del fitofago.

Il quadro attuale, però, prevede un incremento dell’impatto di questo parassita in relazione all’influenza dei cambiamenti climatici sul ciclo vitale della mosca.

I dati raccolti dall’Università Politecnica delle Marche raccontano che, a differenza di quanto atteso, l’incremento delle temperature e l’aleatorietà delle precipitazioni comportano una maggiore sopravvivenza degli adulti del parassita che possono poi beneficiare delle sporadiche precipitazioni per compiere il loro nefasto ciclo a carico delle drupe.

Ad aggravare la situazione, la presenza sul territorio di oliveti abbandonati e di piante sparse anche nei territori urbani e periurbani che rappresentano dei veri e propri serbatoi per le popolazioni svernanti del dittero che poi migrano sugli impianti in produzione.

Interessante spunto quest’ultimo se visto in una chiave progettuale di rilevamento del patrimonio olivicolo “relitto” che potrebbe essere gestito in forma di servizio alla collettività da Istituto agrario ed  università.

In merito alle caratteristiche organolettiche degli extra vergini marchigiani, è stato il professor Leonardo Seghetti dell’Accademia italiana della cucina, già docente dell’IIS Ulpiani.

Il professor Seghetti ha illustrato le proprietà organolettiche, nutritive e salutari dell’olio Evo ribadendo la necessità di legare il prodotto al territorio attraverso i vari livelli di certificazione e rivolgendosi, quando possibile, direttamente ai piccoli produttori locali magari recandosi nel frantoio stesso.

La maggior parte del prodotto che si acquista in Italia è di provenienza estera, extraeuropea, di cui non si conoscono nel dettaglio l’origine e la reale qualità.

Una sorta di involuzione storica considerato che ai tempi di Roma esistevano ben cinque tipologie di olio e la qualità peggiore, quella fatta con olive raccolte da terra, veniva consumata dagli schiavi.

Di fatto, oggi ne esistono solo tre tipologie, due sole commercializzate e di cui una consumata in Italia da 40 milioni di persone ed assimilabile a quella somministrata agli schiavi oltre 2000 anni fa (quello che si trova ad esempio in alcune scatolette di tonno).

Con un maggiore ancorché piccolo esborso, il consumatore potrebbe acquistare e consumare un olio extra vergine d’oliva che, oltre a nutrire, permetterebbe una migliore qualità della vita.

L’obiettivo è quello di trasmettere questi contenuti a chi acquista l’olio e, sicuramente, c’è un grande problema di comunicazione in questo processo.

Il direttore Luigi Caricato, direttore della casa editrice Olio Officina, giornalista ma anche oelologo, neologismo coniato dallo stesso e divenuto di uso corrente tanto da essere introdotto nel dizionario della lingua italiana “Treccani”.

L’attività pluriennale svolta proprio nel senso di dar voce al mondo dell’olio, raccontandone le peculiarità e le potenzialità si è concretizzata sotto varie forme e in particolare attraverso la costituzione della casa editrice Olio Officina, che pubblica riviste in versione web, digitale e cartacea, oltre a collane di libri di manualistica, saggistica, narrativa e poesia. Un osservatorio indipendente sul mondo dell’olio da olive, sulle realtà affini (aceti, condimenti) e su altri mondi paralleli o lontani, tra scienza, tecnica, economia, arte e letteratura. Fondata nel 2010, organizza da dodici anni a Milano, la rassegna internazionale “Olio Officina Festival”, nonché l’evento itinerante “Olio Officina Anteprima”, il “Forum Olio & Ristorazione” e altri incontri di formazione, seminari e convegni.

Nata come progetto culturale, Olio Officina si è strutturata nel corso degli anni attraverso una ricca serie di attività che comprendono anche incursioni nel fumetto e nel design.

Luigi Caricato ha tenuto a sottolineare ai presenti la necessità per la crescita di tutto il comparto, anche dell’aspetto culturale e da qui della formazione. Appare inconcepibile come ancora non esista una figura formata appositamente per il settore analoga a quanto fatto da anni a livello Universitario per i tecnici del vino.

La sollecitazione è stata subito riportata al professor Isidoro in quanto Accademico della UnivPm, che ha evidenziato le difficoltà organizzative e normative per l’istituzione di un corso di laurea di tal tipo mentre altri strumenti, come ad esempio l’Istituzione di un “Master di primo livello” presso l’Ulpiani, potrebbero certamente avere esiti più favorevoli. Questo tema ha suscitato l’interesse anche delle autorità presenti, tra le quali quella dell’Assessore alla cultura con delega alla Pubblica Istruzione, Donatella Ferretti.

Alla luce di quanto spiegato da Leonardo Seghetti e da Luigi Caricato, è stato domandato a Barbara Alfei come l’Agenzia regionale possa effettivamente aiutare l’intera filiera attraverso misure e interventi.

Alfei si è soffermata sull’importanza di promuovere l’attività a livello nazionale e internazionale, proteggendo di fatto la produzione olivicola della regione attraverso il sostegno alle aziende agricole, la creazione di una rete di collaborazione tra produttori, enti locali e associazioni del settore e l’adozione di politiche di tutela del territorio e dell’ambiente.

Queste pratiche si traducono anche per mezzo di iniziative che riguardano l’oliveto a partire dal campo: attraverso la potatura, la corretta gestione degli oliveti e la progettazione di nuovi impianti razionali nel rispetto delle prerogative dell’olivicoltura regionale.

Tra queste azioni divulgative, che hanno assunto un respiro ben più ampio, il concorso regionale e il campionato nazionale potatura olivo allevato a vaso policonico “Forbici d’Oro” e la “Rassegna nazionale oli monovarietali”. Una valorizzazione per andare oltre la qualità, con l’identità data da legame varietà territorio, fino al terroir.

In questo contesto, occorre dare la giusta attenzione a quelle che sono le possibilità di difesa dell’olivo sia in vista di nuovi nemici, sia per rispondere alle problematiche già esistenti.

Il professor Isidoro ha proseguito affermando che oltre all’attività di ricerca e trasferimento di nuove metodologie, come il cambiamento delle modalità di controllo della mosca che per motivi climatici e di sostenibilità (ritiro dal commercio di insetticidi citotropici larvicidi come il Dimethoato) deve essere sempre più in chiave preventiva piuttosto che curativa, si è parlato anche del temuto arrivo nella Regione Marche del problema dato dal batterio Xylella fastidiosa.

Dopo dieci anni dall’introduzione del patogeno in Puglia a causa di comportamenti scriteriati legati all’importazione di piante di caffè a scopo ornamentale, siamo in presenza di un processo doloroso e incerto, ancora tutto da definire. Un bilancio quello ad oggi in cui non si può che constatare il terribile danno subito e come in questi anni siano cambiati il volto di un paesaggio, per il momento soprattutto quello salentino, e l’economia di un territorio naturalmente vocato all’olivicoltura.
Complice di tutto ciò l’inerzia legata inizialmente alla mancanza di una diagnosi certa su un batterio fino ad allora sconosciuto in Italia, come pure l’assenza di politiche più coraggiose.

Il moderatore ha ricordato come tutto ciò sia stato amplificato da una cultura pseudoscientifica che attraverso la diffusione di fake news in dieci anni ha animato un dibattito sfociato spesso nello scontro pubblico: dalle tesi sul complotto, fino all’inchiesta della Procura contro i ricercatori.

Oltre ai movimenti di protesta, le manifestazioni di piazza per fermare l’“olocausto degli ulivi”, le ronde per guidare la “resistenza” al piano di abbattimento delle piante malate deciso dall’Europa, l’occupazione di strade e binari ferroviari, le minacce ai giornali accusati di connivenza con le multinazionali, le marce con i trattori, le fiaccolate e, infine, gli appelli di artisti impegnati e della società civile.

Risultato di tutto questo: un territorio che non potrà mai più essere quello di prima; gli olivicoltori, costretti a rinunciare per sempre alle loro produzioni; i frantoiani che hanno dovuto vendere i loro impianti per non fallire oltre che al rischio di ulteriore espansione dell’area colpita.
Solo nell’area infetta risultano contaminati 183mila ettari e 21 milioni di olivi. Un monito per tutte le aree olivicole italiane e non solo!

La diffusione della Xylella fastidiosa potrebbe costare miliardi di euro nei prossimi cinquant’anni in Europa, mentre in Italia, se l’espansione della zona infetta non venisse arrestata, l’impatto economico potrebbe crescere fino a 5,2 miliardi di euro.

Secondo il professor Isidoro, per vincere contro la Xylella l’unica strada è sostenere la scienza, senza titubanze. Contro il dilagare del batterio killer sono determinanti monitoraggio, il campionamento, le analisi di laboratorio e una continua attività di ricerca.
Molto importante sarà a questo proposito ancora il ricorso alla biodiversità e in particolare a quelle varietà che si sono dimostrate fino ad ora in qualche grado (più che resistenti) tolleranti, il Leccino e la FS17 (Favolosa).

Nel suo ruolo di Accademico della Cucina, secondo il professor Seghetti è necessario innescare un circolo virtuoso attraverso un’attività di divulgazione del valore della storia e del portato della scienza che si celano nei prodotti olio e olive. Attraverso queste iniziative svolte a vari livelli si andrà ad incidere su tutti quei consumatori che necessariamente, come stanno già facendo, cresceranno dal punto di vista delle capacità di apprezzamento della elevata qualità anche attraverso la diffusione dei corsi legati all’analisi sensoriale degli oli di oliva.

A chiudere l’incontro, le riflessioni del direttore Luigi Caricato che ha tratteggiato anche un quadro delle potenzialità ma anche delle “zavorre” dell’olivicoltura marchigiano sul palcoscenico nazionale ed internazionale. Il creatore e direttore di Olio officina ha tracciato un excursus indicando, in particolare, oltre alle difficoltà legate alla frammentazione dell’offerta e delle diseconomie del sistema marchigiano, anche una discrasia legata ad alcuni parametri analitici, che seppur originati dal tentativo di arginare le contraffazioni, rivelano talvolta incompatibili per le caratteristiche proprie di alcuni prodotti.

La soluzione? Cultura dell’olio a tutti i livelli, dai campi degli olivicoltori alle scrivanie dei legislatori, dalle macchine dei frantoiani alla tavola dei consumatori.

In apertura, foto Istituto agrario “Celso Ulpiani”

Roberto Bruni

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