Gea Terra

I consorzi di bonifica? Per farli funzionare bene occorre esperienza

Adattare il sistema idrico alle attuali esigenze indotte dal cambiamento climatico e dalle trasformazioni del nostro sistema produttivo richiede uno sforzo eccezionale. Non ci vogliono soltanto più soldi. Ma soprattutto più competenze, più coordinamento e più flessibilità sul piano normativo e regolativo

Alfonso Pascale

I consorzi di bonifica? Per farli funzionare bene occorre esperienza

Condivido la proposta dell’amico Peppino Mangone di introdurre una norma nazionale che permetta alle Regioni, laddove se ne ravvisi la necessità, di sostituire i consorzi di bonifica con società per azioni.

Per poter chiudere il capitolo della fallimentare gestione dei consorzi, la regione Basilicata ha dovuto istituire nel 2017 un consorzio unico regionale. E la stessa cosa ha fatto in questi giorni la regione Calabria. Ma tale soluzione non riduce le inefficienze e i costi del sistema consortile. L’autogoverno ha senso se tale principio è effettivamente esercitato. Ma quando diventa una finzione, come nel caso dei consorzi di alcune regioni meridionali, è bene passare a forme gestionali fondate sull’efficienza, la responsabilità e la trasparenza.

Per mettere a terra l’infrastrutturazione per adattare il paesaggio e il sistema produttivo al cambiamento climatico, servono esperienze amministrative che al momento sono del tutto insufficienti.

Gestire la complessità esecutiva di un progetto da miliardi non è cosa che si studia sui libri. Per farlo bisogna avere esperienza. Ma questa si acquisisce con fatica e nel tempo. Almeno da una generazione all’altra.

L’attuale generazione di tecnici, diversamente da quella degli anni Cinquanta, non si è mai cimentata con progetti miliardari. Gran parte delle amministrazioni pubbliche non ha il personale per pianificare e coordinare gli interventi in ambito idraulico. È, pertanto, necessario trovare forme gestionali che possano attenuare gli effetti negativi derivanti da tali carenze.

È già accaduto altre volte, nella storia della bonifica. Anziché costituire i consorzi, si è ricorso allo strumento societario per realizzare programmi di particolare complessità.

Il 23 dicembre 1918 si costituì la Società Anonima Bonifiche Sarde, con un capitale iniziale di lire un milione. Scopo della Società era principalmente la bonifica idraulica ed agraria di terreni in destra e sinistra del Tirso.

La Società acquistò e ottenne in enfiteusi un’area da bonificare di circa 8 mila ettari. Si poté così trasformare, in pochissimi anni, un paesaggio in cui vivevano solo due o tre persone in capanne di frasche e fatto per un quarto da paludi e pantani e per tre quarti da terreni incolti, impervi e desertici, in un paesaggio fiorente, abitato da 4 mila persone in 200 fabbricati colonici e composto da 5 mila ettari dissodati e resi irrigui, con 250 poderi e senza più paludi.

Il 28 aprile 1923, l’ingegner Antonio Valsecchi e il senatore Mattia Farina Junior, dopo aver costituito una società per azioni (che prenderà il nome di SAB, Società Anonima Bonifiche), chiesero la concessione dei lavori di bonifica in tutto il bacino del Sele. E utilizzarono a scopi irrigui le acque del fiume Sele, del Tusciano e del Calore.

Le trasformazioni realizzate dalla SAB innescarono presto dinamiche sul piano economico e sociale di rilevante importanza. Mutò, infatti, l’andamento del trend demografico della piana, ponendo fine al processo di spopolamento. E l’area agricola tra Eboli e Battipaglia assunse un sempre maggiore peso specifico rispetto al complesso della provincia.

Adattare il sistema idrico alle attuali esigenze indotte dal cambiamento climatico e dalle trasformazioni del nostro sistema produttivo richiede uno sforzo eccezionale. Non ci vogliono soltanto più soldi. Ma soprattutto più competenze, più coordinamento e più flessibilità sul piano normativo e regolativo.

È giunto il tempo che anche per i consorzi di bonifica si vada ad una rivisitazione delle norme per consentire alle regioni di compiere scelte differenziate per quanto riguarda l’operatività gestionale.

Molto opportunamente Mangone ha ricordato che il problema fu sollevato già negli anni Sessanta. Manlio Rossi-Doria tenne una relazione al convegno “Nord e Sud nella società e nell’economia italiana di oggi”, organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi e svoltosi a Torino dal 30 marzo all’8 aprile 1967. A un quesito suscitato dalla sua esposizione, ecco la risposta del professore di Portici: “Bisogna fare ogni sforzo per portare nei comprensori di bonifica una mentalità di carattere industriale, chiedendosi, tra l’altro, se non convenga riorganizzare i consorzi di bonifica nella forma di vere e proprie società per azioni”. Sono trascorsi quasi sessant’anni e nei comprensori di bonifica ancora manca la mentalità industriale.

In apertura, foto di Olio Officina ©

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia