Quando la poesia celebra l’olivo
Il 27 maggio la presentazione a Villa Convento, quasi alle porte di Lecce, del libro di Giuseppe Cinà Il nostro albero. L'evento organizzato da Caricato Factory presso l'Agri bio relais Filippo De Raho. A partire dalle 18.30, una conversazione con Sarah Siciliano e Francesco Caricato, alla presenza dell’autore. A moderare l’incontro, Toto Mininanni
Questo libro, in dialetto siciliano con traduzione a fronte, si pone nel solco di un ineludibile ricorso alle origini, un nòstosche prende corpo sulle tracce dell’ulivo, albero e principio fondativo come pochi altri della patria mediterranea.
Sul filo di una sommaria genealogia dell’Àrbulu nostru e della sua persistenza nel formarsi della civiltà intorno al Mare nostrum, le poesie si compongono in un mosaico di appunti, fatti e personaggi che richiamano alcune delle tante voci secondo cui l’ulivo ci ha parlato e ancora ci parla.
A questa coralità di fondo fa riscontro un nucleo di poesie dal registro lirico, dove echeggia l’intenso rapporto che lega l’uomo e l’ulivo dall’alba dei tempi e il suo esaurirsi nel mondo globalizzato.
«Giuseppe Cinà, che sa “legger di greco e di latino”» scrive nella prefazione Velio Abati, «ha scoperto che lu jardinu e ancora più la cura di l’alivu fanno letteralmente, inscindibilmente tutt’uno con la materia viva del dialetto». Le dolcezze e la ruvidità dell’ulivo trovano infatti perfetto riscontro nel dialetto e nelle sue inesauribili scorte lessicali, semantiche ed espressioniste.
L’autore
Giuseppe Cinà, nato a Palermo, è architetto e urbanista. È stato professore associato di Urbanistica al Politecnico di Torino, occupandosi in particolare di progettazione urbana, conservazione dei centri storici e aree agricole periurbane.
Ha lavorato come docente e ricercatore in numerosi Paesi islamici, in India e in Cina.
Ha pubblicato molti testi specialistici sui temi della città e del territorio.
Dopo A macchia e u jardinu (Manni, 2020) questa è la sua seconda raccolta di poesie, anch’essa premiata in alcuni importanti concorsi letterari.
Di seguito, una poesia tratta dal suo volume Il nostro albero, anche in dialetto siciliano.
Fiore d’ulivo
Tutti a riverire i fiori illustri
ma pochi conoscono il fiore d’ulivo
che tra le foglie l’aria di bianco merletta
ed è casa a una timida ninfa
che si ravvisa tra i rami
nell’epifania di un pensiero felice.
A suo tempo
l’albero è percorso da brividi di grazia
e i grappoli di fiori ermafroditi
esplodono in migliaia di stizze di luce
come una cometa di champagne
impigliata tra le foglie.
Allora come per incanto, duro
e storto com’è, l’ulivo s’addolcisce
e in difetto di api e farfalle
s’abbandona al vento fecondatore
che il suo seme porta lontano
a sposare alberi che già si cercavano.
È vero, la terra langue
e s’imbroglia la matassa dei nostri sogni
ma a noi è grazia ritrovare nel festino nuziale
nella felicità di ogni fiore che al frutto attende
l’ago e il filo
della natura sempre innamorata.
Zàgara d’alivu
Tutti a ncinziari li ciuri ammuntuati
ma picca genti canùscinu la zàgara di l’alivu
ca tra li pàmpini l’aria pitta a biancu merlettu
e fa di casa a na ninfa timurusa
ca si discerni mmenzu a li rami
nall’epifania di un pinzeri felici.
A so tempu
l’arbulu è pigghiatu di rizzi di grazia
e li rappi di ciuri màsculu e fìmmina
scattianu a millanta stizzi di luci
comu na cometa di sciampagna
mpirugghiata mmenzu li pàmpini.
Allura comu pi maarìa, duru
e sturtignu pi com’è, l’alivu s’abbinigna
e in difettu di api e farfalli
s’abbannuna a lu ventu fecundu
chi la so simenza cunnuci luntanu
a maritari àrbuli ca già si circàvanu.
Veru è, la terra è malata
e si mbrogghia la matassa di li nostri sònnuri
ma resta la grazia di truvari nna lu fistinu nuziali
nna la felicità di ogni ciuri ca lu fruttu pripara
l’aùgghia e lu filu
di la natura sempri nnammurata.
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