Scivolone olio Igp Calabria
Ennesima dimostrazione - tra furiose polemiche che coinvolgono le istituzioni della regione - di come le attestazioni di origine siano destinate inevitabilmente a fallire, quando si commettono errori grossolani nella stesura di un disciplinare di produzione. La Calabria non è solo Carolea, solo gli alieni lo ignorano
Chiamatelo pure imbarazzo, stupore, ma le parole per raccontare quanto sta accadendo in merito alla futura (e si spera diversa, da quella che si sta prospettando) Igp olio della Calabria sarebbero ben altre. Potrebbero essere queste: fastidio, desolazione, sfiducia, amarezza, delusione; ma per l’assessore all’agricoltura della Provincia di Reggio Calabria, Gaetano Rao, la parola chiave è invece rabbia, ma anche ira, in realtà, visto quanto ha dichiarato. Se non avete letto la sua rimostranza, fatelo, giusto per rendervi conto di quanto sta accadendo in Calabria (QUI).
Certo è che si resta sbigottiti, dopo vent’anni di diffuso fallimento (al Sud del Paese) delle attestazioni di origine Dop e Igp, si insiste ancora nel perpetuare gli errori. Insomma, la storia, seppur recente, sembra non insegnare nulla. Si continua ad andare avanti in maniera comica, con ripetuti e grossolani rattoppi, facendo perno su disciplinari di produzione troppo spesso mal copiati, e in molti altri casi, se per davvero originali e non scopiazzati, maldestri e barcollanti, sicuramente assurdi e in alcuni casi dissennati. Pensate a quanto è accaduto per esempio alla Dop Terre Tarentine, tanto danaro sprecato per non ottenere nulla, nell’impossibilità di certificare un solo litro d’olio; anzi, quest’anno è stato un successo, di quelli che rimarrà alla storia: sono riusciti a certificare ben 115 litri di olio extra vergine di oliva Dop Terre Tarentine. Un bel traguardo. Non sappiamo se sarà mai immesso in commercio quest’olio, o se verrà omaggiato. Certo è che quando si commettono gravissimi errori, nella stesura dei disciplinari, alla fine tali imprudenze si pagano, e a caro prezzo.
Ciò che in particolare ha fatto arrabbiare l’assessore reggino Gaetano Rao, è un fatto di puro e giustificato egoismo: il suo territorio, la provincia di Reggio Calabria, proprio a seguito del bizzarro disciplinare di produzione approntato da qualche funzionario trovato forse nell’uovo di Pasqua, o di provenienza aliena, chissà, ha traslasciato la storia passata e recente della regione Calabria, per inventarsi un mondo immaginario, popolato da strani sogni chiamati Carolea. Essendo forse un alieno, figura estranea al globo terrestre, qualcuno – ne sono certo – gli avrà messo in testa che il futuro della Calabria sarà la Carolea, e così, in un afflato mistico, nell’atto liturgico stesso dell’elaborazione del testo fondante il disciplinare di produzione, quello della prossima (se per davvero lo diventerà) Igp Calabria, avrà oli che non esisteranno nella realtà, o, se esisteranno, non copriranno l’intero territorio regionale, se non in minima parte, giacché la Carolea la si trova in maniera massiccia soprattutto nel lametino.
Io non conosco il funzionario in questione, sarà uno dei tanti finito nel settore agricoltura chissà perché, forse pescato da qualche altra amministrazione pubblica per un esubero, non so. Ciò che è evidente, è che si tratti di persona senza competenze specifiche nel settore olivicolo e oleario, essendo paradossalemnte contemplate, tra le cultivar ammesse, in netta prevalenza la varietà Carolea (addirittura per almeno il 70% !), mentre, per la restante parte (il 30%) potranno far parte altre cultivar, tutte però rigorosamente autoctone, ignorando di fatto che l’olivicoltura calabrese degli ultimi decenni abbia di fatto accolto nei suoi oliveti cultivar alloctone, provenienti in particolare da Sicilia e Toscana. Che si fa? Si ignorano le presenze di queste cultivar, pur presenti in modo significativo sopratutto nei nuovi impianti?
La scelta contemplata nel disciplinare di produzione è quanto meno bizzarra, se non addirittura bislacca. Ma la parola giusta è incompetente. Chi non ha competenza in materia, anche in buona fede vede ciò che non c’è. Solo che i danni che ne derivano sono per tutta la regione. A pagarne le conseguenze sono gli agricoltori e i confezionatori calabresi. Che senso ha lo sforzo di mettere in piedi una Igp se poi non è rappresentativa di tutta la regione? Se poi mancheranno i quantiatativi di olio da certificare? E allora, sia detto con il cuore, che senso ha svincolarsi dalla già fallimentari Dop calabresi, con extra vergini introvabili sul mercato, per poi realizzare, a breve, a media o a lunga distanza, altre toppe riparatrici, e affrontare ancora una volta errori cui porre rimedio?
Se si agisce per il bene collettivo e del territorio, allora si deve fotografare il territorio così com’è, ma soprattutto occorre realmente conoscere il territorio, non limitasri a evocarlo. Io, francamente, resto sorpreso, ma anche avvilito, soprattutto perché amo con tutto me stesso la Calabria, mia terra prossima, essendo un nativo pugliese, e così, volendola difenderla da chi quotidianemente la ignora e non la conosce nella sua struttura produttiva, non posso lasciare tutto nel silenzio, proprio oggi che c’è la pubblica audizione e si può ancora rimediare in extremis.
E’ ignoranza, pura ignoranza. Ecco cos’è. L’assessore reggino Gaetano Rao ha ragione a irritarsi, giacché il suo territorio viene di fatto escluso dall’olio Igp Calabria (QUI), non rientrando in quanto previsto dal disciplinare. Il vero danno, tuttavia, è per tutta la regione. Insomma, se qualcuno, tra i funzionari calabresi, ha avuto intenzione di scimmiottare il successo dell’Igp Toscano, doveva farlo bene, riuscendo a rappresentare la Calabria olivicola per quello che è, non per quello che la mente da extraterrestri immagina che sia.
Basta poco, ci sono tante fonti che si potevano consultare, ma ritengo che l’assessorato regionale all’agricoltura abbia nei suoi uffici tali fonti, almeno lo spero. Ed è soprendente, e nel contempo disarmante, la surrealistica risposta dell’assessore regionale Michele Trematerra all’ira di Gaetano Rao (QUI), dimostrando platealmente di non essere informato sui fatti, e dimostrando anche una totale non conoscenza della propria terra, e ignorando tra l’altro l’evoluzione stessa dell’olivicoltura calabrese nel corso dei diversi decenni, aperta come è ora a cultivar anche esterne alla regione.
Insomma, è evidente – più che evidente, direi – che non vi sia la benché minima conoscenza, nell’estensore del testo, della materia di cui tratta, giacché chi ha redatto il documento ignora di fatto, e in maniera plateale, gli elementi basilari e fondanti dell’olivicoltura calabrese. E’ una visione approssimativa. Sarebbe bastato affidarsi a persone competenti. Conoscendo Antonio Cimato, del Cnr Ivalsa, so bene che da tempo, da vero calabrese qual è, ha studiato e studia i profili di migliaiai di campioni di extra vergini della regione. Insomma, un messaggio al funzionario lo voglio dare, e spero solo che non sia un calabrese, altrimenti sarebbe un grave affronto nei confronti della propria regione.
I disciplinari non si fanno elaborando un testo che parta da altri disciplinari di successo. Si parte invece dal territorio, proprio come fa un sarto che realizza abiti su misura. E’ semplice, molto elementare. E se proprio si vuol redarre un disciplinare di produzione “fai da te”, almeno vi sia l’impegno minimo, basilare, conistente nello studiare un po’ di più. Sarebbe stato sufficiente consultare il volume L’ulivo e l’olio della celeberrima collana “Coltura e Cultura”, quasi ottocento pagine di sapere derivanti dal prezioso contributo di 85 autori (tra i quali vi sono orgogliosamente anch’io): sono tante le pagine dedicate oltretutto alla Calabria, e in particolare c’è pure un esplicito riferimento alla presenza, in percentuale, delle cultivar presenti nelle diverse province calabresi. Insomma, mi rivolgo al funzionario che ha redatto il testo del disciplinare: bastava attingere dalla fonte che ho appen citato, non c’era da sostenere nessun altro sforzo che questo: informarsi, documentarsi. Giusto per il bene della Calabria, non per vanagloria.
Una Igp zoppa in partenza serve a poco, chiedo dunque conto dei grossolani errori commessi sia all’assessore Trematerra, persona non informata sui fatti, vista la risposta in perfetto politichese resa all’indirizzo dell’assessore Rao, sia al funzionario di cui ignoro il nome, ma che è evidente che 1) o non è nato in Calabria; o 2) in questa regione, se pure vi è nato, non la conosce e nemmeno la ama, dal momento che errori così grossolani possono solo arrecare un gran danno agli olivicoltori calabresi.
ASSORTIMENTO VARIETALE IN CALABRIA
Tratto dal volume L’ulivo e l’olio, Coltura & Cultura
Provincia di Catanzaro:
Carolea (60%)
Frantoio (20%)
Leccino (5%)
Roggianella (5%)
Coratina, Cassanese, Tonda di Filadelfia, Nocellara messinese (10%)
Provincia di Cosenza:
Cassanese (35%)
Dolce di Rossano (10%)
Roggianella o Tondina (15%)
Carolea (25%)
Coratina, Nocellara del Belice, Frantoio, Leccino, Pendolino (15%)
Provincia di Crotone:
Carolea (40%)
Pennulara (5%)
Dolce di Rossano (5%)
Coratina (5%)
Frantoio (10%)
Leccino (5%)
Nocellara messinese (5%)
Biancolilla (3%)
Nocellara del Belice (5%)
Tonda di Strongoli (5%)
Picholine, Itrana, Giarraffa (12%)
Provincia di Vibo Valentia:
Tonda di Filogaso (25%)
Ottobratica Perciasacchi (25%)
Ciciarello (10%)
Roggianella (15%)
Verdella (5%)
Tonda di Filadelfia (5%)
Ottobratica Sinopolese (5%)
Nocellara messinese, Nocellara del Belice, Frantoio, Leccino, Pendolino, Carolea (10%)
Provincia di Reggio Calabria:
Ottobratica Perciasacchi (40%)
Ottobratica Sinopolese (10%)
Ciciarello (5%)
Roggianella (15%)
Cassanese (10%)
Grossa di Gerace (5%)
Coratina, Frantoio, Leccino, Biancolilla, Nocellara messinese, Nocellara del Belice (15%)
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