E se ci fosse anche l’olio Igp Puglia?
C’è tutto un fermento intorno alle Igp dell’olio. Che cosa significa? Forse che le Dop sono state concepite di corsa, in gran fretta, e non hanno funzionato proprio perché qualcosa non è andato per il verso giusto? Di una Igp olio Puglia se ne era parlato sin dal lontano aprile 2003. E poi?
In questo pullulare di iniziative, nel tentativo di lanciare le Igp dell’olio, tra Sicilia e Calabria, mi sembra giusto evidenziare il tentativo di chi, da perfetto pioniere, aveva tentato di lanciare una Igp anche per l’olio – anzi: gli oli – di Puglia. Parlo di Massimo Occhinegro, già noto a chi segue Olio Officina per i suoi utili contributi, tra cui l’ebook Analisi economica su venti imprese del comparto olio di oliva. Confronto degli esercizi 2010 e 2011.
Occhinegro ha avuto modo, per primo, di creare una Igp Puglia esattamente nell’anno 2003, in occasione di una sua conferenza nell’ambito del Premio Biol a Bari. Era l’aprile del 2003, per l’esattezza. Occhinegro ebbe modo di scrivere sull’argomento anche sulla rivista “Olivo e Olio”, e poi da un sondaggio, seppure non approfondito, ha avuto comunque modo di riscontrare già in quegli anni l’interesse di molti operatori. Lo stesso assessore all’agricoltura della Regione Puglia, Nino Marmo, accolse con favore l’iniziativa. Da qui poi a realizzarla, non è stato possibile conseguire alcun risulatto. Forse i tempi non erano maturi, forse ci sono state false promesse. Fatto sta che non è accaduto nulla, eppure la forza trainante del marchio Puglia è bene più incisiva di altre indicazioni.
Prendiamo l’esempio della Dop Dauno. Una Dop di qualità, sia ben chiaro, ma chi conosce la Daunia? Anche l’olio Terra d’Otranto, chi conosce, soprattutto all’estero, un riferimento così antico, o, forse, è proprio il caso di dire, datato? Senza trascurare la Dop Collina di Brindisi, pressocché invisibile sui mercati, nonostantye i granbdi quantitativi d’olio prodotti nel territorio provinciale. O, peggio, la Dop Terre tarentine: è pura utopia scovare una bottiglia certificata. Si poteva anche evitare di riconoscere una denominazione di origine orfana di oli, nonostante, anche in questo caso, di extra vergini se ne producano in gran quantità. Qualcosa, nel meccanismo generale, non è andata a buon fine. Che forse l’Igp può essere la soluzione? Intanto, sui mercati la sola Dop che ha dato risultati concreti è la Terra di Bari. Tempo fa, estate del 2004, massimo Occhinegro mi scrisse una lettera, in ragione delle mie perplessità su una possibile Igo Puglia, perché avrebbe portato solo svantaggi e confusione. Ovviamente Occhiengro non era personalmento d’accordo. “I vantaggi sarebbero innumerevoli”, mi disse allora Occhinegro. E me li elencò: – lo sforzo di marketing concentrato; – la possibilità di affermare un marchio di un’impresa; – la possibilità di vendere un prodotto sempre valido, organoletticamente parlando, anche in periodi di campagna di scarica in particolari aree; – la possibilità di poter contare su interventi mirati da parte della Regione; – la possibilità di portare avanti, nel mondo il nome della PUGLIA che significa anche turismo, e prodotti tipici. Non dimmentichiamoci, infatti che all’estero, il nome PUGLIA è sicuramente più conosciuto di Brindisi o Bari ecc. – la possibilità, di attribuire una buona immagine al nostro olio pugliese, finora giudicato, “pesante” o “forte” dai non esperti consumatori; – la possibilità di operare dei tagli sapienti, con l’utilizzo di varie olive provenienti dalla Puglia, ci consentirebbe di dimostrare che sappiamo fare un buon olio che non ha nulla da invidiare a quello “osannato” Toscano o Umbro o addirittura Ligure o del Garda che ha produzione a livello di schedina del totocalcio. E ancora, aggiunse Occhinegro, “come marchio ‘ombrello’, l’Igp Puglia porterebbe al traino le altre Dop”; ribandendo così la sua ferma convinzione che la strada giusta per rilanciare la regione sia proprio il ricorso all’indicazione geoografica protetta. Ricordo ancora cosa mi disse allora Massimo Occhinegro, raccontandomi un episodio significativo: “per conto di un’azienda pugliese mi è capitato di ricevere una richiesta d’olio da parte di una grossa catena inglese intenzionata a prendere degli oli di Dop Collina di Brindisi; eebbene, purtroppo l’olio richiesto non era disponibile. Ci rimasero male, rispondendo che avrebbero continuato ad acquistare olio toscano o umbro. Spiegai allora che la mia perplessità non era nell’idea dell’Igp in sè, ma nel tentativo (e ricorro alle aprole di allora – “di unificare un territorio così complesso, variegato e perfino inconciliabile nei suoi tratti distintivi, soprattutto sul piano culturale, ma non solo”. Dissi allora che la Puglia sarebbe più corretamente definirla “le” Puglie, visto che il Salento è ben lontano dall’essere associato – tanto per fare un esempio concreto – all’area del barese. Siamo quasi agli antipodi, anche sul piano della tradizione olearia, due culure differenti, due approcci, due stili diversi.
La mia riserva non era tanto sul piano contenutistico, ma della estrinsecazione pratica. “Cosa accadrebbe – metto il virgolettato al mio pensiero perché ne scrissi nel 2004 – qualora si decidesse di istituire la Igp Puglia per gli extra vergini prodotti in regione? Ci sarebbe la consueta corsa a occupare le cariche di presidente e direttore di qualche consorzio e sottoconsorzio, come già accade su più fronti.Con gli esiti che purtroppo sappiamo. Alla fine sono sempre gli stessi uomini, le stesse facce neppure esteticamente belle, nemmeno radiose, men che meno illuminanti, che da decenni ripetono la stessa cantilenante solfa, gestendo malamente un incalcolabile tesoro già banalmente dissipato. La esasperante e smodata politicizzazione e burocratizzazione di ogni ambito istituzionale e associativo ha ucciso l’agricoltura pugliese”. Questo è quanto dissi all’epoca, probabilmente oggi qualcosa è cambiato, forse, si spera, sicuramente sì, c’è una marcia diversa, e soprattutto ci si è resi conto che un conto è il mercato, altro conto è la gestione politica delle attestazioni di origine.
Ora, vorrei sorvolare su questi aspetti. Mi auguro che la situazione geopolitica sia cambiata da allora. Riproporre oggi, anche alla luce dei fallimenti di alcune Dop pugliesi, una Igp Puglia avrebbe un sapore diverso, più allettante.
Il tema in questo periodo in cui ormai tutti parlano di Igp – la Siclia, che ha presentato il disciplinare di produzione, ma anche la calabria che si accinge a fare i passi decisivi – la Puglia tace, la proposta di Occhiengro non trova riscontro. Ma su facebook, nel guppo “Noi che vogliamo l’unione del comparto olio di oliva” se ne discute, con tantissimi commenti. Potete leggere direttamente, e magari iscrivervi al gruppo. Intanto, per facilitarvi, vi riporto alcuni dei tanti commenti, freschi freschi, risalenti al 6 ottobre.
Adele Scirrotta > la Puglia, che dovrebbe trainare tutto il Sud, invece ci troviamo in carrozze che vanno un po’ a destra e un po’ a manca…
Massimo Occhinegro > quali sono le Dop Pugliesi che funzionano e tra quelle che funzionano con quali risultati? I produttori a un recente incontro in cui si parlava di prezzi spuntati dalle Dop in Italia, dicevano che loro spuntano prezzi migliori senza certificazioni. (…) Partecipai a vari convegni anche in Calabria e Sicilia e parlai della esigenza delle IGP dal punto di vista del marketing.
Gianluigi Cesari > Dieci anni fa l’attenzione era tutta concentrata sulle Dop. Ricordo come anche a Taranto vollero affermare la loro…
Massimo Occhinegro > ne scrissi anche su varie riviste, sia cartacee, sia magazine on line. Provai a sentire tutti i partecipanti, ma crearono un sacco di problemi con il disciplinare che certamente non potevo fare io che mi occupo di economia!
Adele Scirrotta > questa è la piaga del sud (…)
Massimo Occhinegro > Antonio G. Lauro scrive, su altro post, che loro sono a buon punto in Calabria. La Calabria se lo merita, ha fatto grandi passi in avanti, e si è scrollata di dosso l’immagine che aveva di sola produzione di oli lampanti. (…) Hanno oli molto buoni. A me piace molto la Dolce di Rossano ma ha una shelf life limitata ed è necessaria forse tagliarla con altra varietà.
Gianluigi Cesari > esisteva un altro clima e un altro contesto in Puglia… Avrebbe avuto più senso partire prima con l’Igp e poi con le Dop…
Massimo Occhinegro > Gianluigi, ho imparato che molti parlano tanto e agiscono poco. La mentalità è comunque sempre la stessa; inoltre le persone non imparano dagli errori commessi. Per questo, spiace dirlo, ma sono più evoluti i topi che prima di morire spiegano quali sono le trappole da evitare. (…) Secondo me, continuo a dire che il marchio “Prodotti di Puglia” sia un flop , tra l’altro concepito come al solito, solo in italiano. Ce lo dicono dieci anni di inutilizzo. L’idea dell’IGgp è ancora più valida, visti gli scarsi risultati delle “Puglie”, con le sue poderose 5 Dop, anzi 4 visto che Terre Tarantine non ha potuto certificare neanche una bottiglia da 10 ml di olio, avendo copiato il disciplinare della Liguria, terra molto simile, come è noto!
Emanuele Schirinzi > sarei curioso di leggere una proposta di disciplinare della Igp Puglia, vista la etereogeneitá delle cultivar nelle due Puglie. Ho paura che ci si ritrovi con maggiore confusione tra i consumatori. Cosa ci si aspetta tra un olio prodotto a leuca e uno ad andria?
Luigi Caricato > nord e sud Puglia, le Puglie. La sintesi eraclitea dei contrari. Un buon punto di partenza per un blend che rilanci una regione olivicola per eccellenza.
Silvia Ruggieri > Massimo, eri 10 anni avanti!
Emanuele Schirinzi > un blend con olive del nord della Puglia e del sud credo che possa essere una scelta aziendale e non una imposizione di sintesi della Igp Puglia. Sono d’accordo che è un buon punto di partenza… Ma non mi dispiacerebbero in futuro due Igp Puglia, una nord e una sud.
Massimo Occhinegro > Cara Silvia, ti ringrazio per quanto hai scritto. Si, è vero, spesso mi hanno preso per visionario, e altrettanto spesso, devo aggiungere, le persone scettiche si sono dovute ricredere di fronte ai fatti. Nello specifico, caro Emanuele, senza avere la pretesa di convincerti, ti dico che il prodotto Igp (non pensare solo all’Italia, che giace su un letto moribonda) avrebbe un grande successo all’estero. Me lo dice l’esperienza, nonché la conoscenza – talvolta è necessario evidenziarlo, di oltre 20 anni – di una cinquantina di Paesi del mondo. Dall’Eritrea al Bangladesh, passando per l’Iraq e l’Iran, gli Emirati Arabi e poi Qatar, Oman ecc. Per il resto, senza dilungarmi, ti faccio presente che – anche se tu da un lato sostieni che la Igp creerebbe confusione (dico io: su quale?), dall’altro ne suggerisci addirittura due, come se una creasse confusione, mentre due no, chiariscono meglio il senso della produzione olearia pugliese al consumatore. Vi sarebbe molto, moltissimo da dire, e sono abbastanza convinto che se lo facessi riusciresti a cogliere le grandi opportunità. Le richieste ci sono già, nessuno conosce, nel mondo, Bari o Taranto o Brindisi, non tutti, ma molti, conoscono la Puglia, ancora di più, a distanza di dieci anni. Tuttavia, mi preme ricordarlo, è un bene coinvolgere anche le grandi aziende nell’opera di diffusione purché a prezzi remunerativi da protocollo.
Emanuele Schirinzi > Massimo, sono convinto anche io di quello che dici, tanto è vero che in passato anche io ho suggerito, nei vari post, che sarebbe cosa utile. Il discorso è come farlo, e in che modo. Io mi pongo di fronte al consumatore, che deve scegliere tra due bottiglie di Igp Puglia a cui qualcuno deve spiegare come mai si tratta di oli dal profilo completamente diverso, uno fatto ad Andria e uno a Leuca. Se il consumatore non lo mettiamo in condizione di capire, finirà che comprerà un olio toscano o siciliano. Possiamo a questo punto solo sforzarci a indicare in etichetta le cultivar di provenienza. Sono il marchio Igp Puglia, non vedo altra via d’uscita.
Massimo Occhinegro > Emanuele, hai ragione. Personalmente sono convinto che bisogna studiare un buon disciplinare (c’è la sta facendo la Calabria, l’ha fatto la Sicilia) e per questo ci vogliono tecnici in gamba, che conoscano le caratteristiche delle varie cultivar presenti nel variegato territorio. Sono dell’avviso che occorra indicare precisamente le varietà di olive utilizzate. Il consumatore compra già in prevalenza l’olio toscano o siciliano all’estero. La Dop Collina di Brindisi è inesistente, la Terra d’Otranto è inesistente, la Dop Dauno è anch’essa inesistente, la Terre Tarentine è inesistente, e siamo già a quattro. La quinta Dop, Terra di Bari, sicuramente la più venduta, soprattutto in Germania (ma a prezzi deludenti, da far riflettere sulla sua reale composizione), tuttavia ben poco in altri Paesi.
Emanuele Schirinzi > ma tu come Igp intendi un blend ben preciso, stabilito in disciplinare a tavolino delle cultivar presenti in tutta la Puglia? Credi che una azienda agricola che si trova a Leuca per fare Igp debba adoperarsi per acquistare olive da Bitonto o da Trani per ottenere il blend? Mi sembra un po una forzatura… Io mi riferivo a un disciplinare non restrittivo in termini di composizione del blend.
Massimo Occhinegro > occorre riflettere, Emanuele. Ci vogliono tecnici preparati. Io non posso parlare di disciplinari, perché non è il mio campo. Ognuno ha il suo. Perché non è possibile comprare olive da zone lontane? Alle volte gli oli del Salento hanno una shelf life molto breve, non adatta ai mercati esteri, buoni ,magari ottimi per un pronto consumo. Perché non impiegare una Peranzana o una Coratina? Non credo che qualche chilometro possa costituire un problema per chi vuole fare un prodotto valido da offrire nei mercati nazionali o internazionali. Il disciplinare non deve consentire il possibile uso di oli greci ad esempio…
Mario de Angelis > vorrei avere tutto l’olio estratto dalla Peranzana che viene in Abruzzo o nelle Marche ogni anno. E non mi dispiacerebbe avere tutto l’olio della Coratina usato per ridare vita a molti oli calabresi o prodotti in altre zone olivicole…
Contenti di questa lunga maratona intorno all’olio Igp Puglia. Cosa accadrà? Che diranno le Istituzioni pugliesi al riguardo?
Foto di attribuzione incerta, con ogni probablità di Movimento del Turismo dell’olio di Puglia.
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