Olio Officina Festival

Oltre l’olio mass-market, verso nuovi modelli resilienti

La valenza dell’identità territoriale per rilanciare l’olivicoltura italiana è una strada per certi versi obbligata, ma alquanto complessa, tra luci e ombre. Quello delle attestazioni di origine olearie Dop e Igp è stato tra i temi più centrali, decisivi e urgenti della tredicesima edizione di Olio Officina Festival. Riportiamo la relazione di Francesco Gasparini, owner di PrimOli

Francesco Gasparini

Oltre l’olio mass-market, verso nuovi modelli resilienti

Se gli oli del territorio a marchio Dop e Igp, potranno mai salvare l’olivicoltura italiana? È il tema affrontato nel corso di Olio Officina Festival 2024, di cui sono stato relatore. In verità, oltre all’olio Dop/Igp, la valenza dell’identità territoriale, andrebbe attribuita anche alle vendite dirette dalla produzione di oli extra vergini locali, per quanto non certificati. Si tratta, in questo caso, di volumi importanti, acquistati da soggetti nativi delle aree di produzione (soprattutto al centro-sud), ma anche da chi pratica il turismo enogastronomico.

Se però si circoscrive l’analisi ai soli oli Dop/Igp, è indubbio che questo segmento ha ancora un peso marginale all’interno della produzione olearia nazionale (5,6% in volume nel 2022 – fonte: Ismea) a differenza di quanto accade per altre Ig, indicazioni geografiche del food italiano (formaggi e salumi in particolare).

Visti i numeri, l’impatto che questa nicchia ha sull’olivicoltura italiana nel suo complesso non può che essere modesto, anche se, analizzando nel dettaglio le varie specificità territoriali, emerge un quadro più articolato con luci e ombre.

Ad esempio, in areali marginali dove l’olivicoltura stenta ad innovarsi e i costi di gestione sono molto elevati – si pensi agli oliveti terrazzati nelle colline interne della Liguria o a quelli delle regioni appenniniche dell’Italia centrale – la strada della qualità attraverso la valorizzazione dell’identità territoriale, è la sola che possa arginare il progressivo abbandono colturale.

Diversamente, in una regione vocata all’olivicoltura di qualità come la Sicilia, con una superficie olivetata di 130 mila ettari (il 90% dei quali ricompreso nella zona di produzione di ben otto Dop), Il riconoscimento di un Igp regionale ha rappresentato, soprattutto per alcune aziende siciliane integrate con la produzione, un’opportunità di differenziazione rispetto all’origine “100% italiano”, consentendo di commercializzare, con un sovraprezzo, significativi quantitativi di olio Igp Sicilia: nel 2022 la produzione delle due più affermate attestazioni di origine – Igp Sicilia e Dop Val di Mazara – era pari, rispettivamente, a 1.616 ton. e 1.484 ton. (fonte: Ismea)

Ancora diverso è il caso della Toscana, dove all’olivicoltura tradizionale, per lo più collinare e a bassa reddittività, si sta affiancando, in areali pianeggianti, un’olivicoltura di precisione caratterizzata da un’alta densità di piante per ettaro (spesso di varietà autoctone: Leccio del Corno e Maurino) e da un elevata automazione. I casi sono ancora isolati ma è chiaro che, all’interno di una medesima Igp, i nuovi impianti intensivi, per quanto necessari, rischiano di mettere fuori gioco quelli tradizionali, il cui valore, non solo paesaggistico, è fondamentale per la regione.

In definitiva, mentre nella produzione di olio mass-market il conseguimento di efficienze produttive, attraverso investimenti in un’olivicoltura “industriale” di precisione, rappresenta, anche in Italia, il presupposto essenziale e prioritario per poter competere in un mercato globale, trainato dalla Spagna, nella produzione del cosiddetto olio “artigianale”, spesso certificato Dop/Igp, vanno individuati nuovi modelli resilienti e aderenti alle specificità territoriali. Modelli che sappiano esaltare la multifunzionalità dell’olivicoltura tradizionale, valorizzandone biodiversità, benefici ambientali e valore culturale.

In apertura, una panoramica di bottiglie di oli territoriali a marchio Dop e Igp. Foto di PrimOli

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