Saperi

Giulio Cesare Vanini, un filosofo dal Salento al mondo

Arso vivo per “ateismo, bestemmia, empietà e altri eccessi”, scrisse alcuni testi di filosofia naturalistica. Il boia gli strappò persino la lingua. Ora Mario Carparelli, vicepresidente del Centro Internazionale di Studi Vaniniani, gli rende giustizia pubblicando una piccola summa a difesa. Così, se la sua figura e il suo sacrificio hanno “contribuito alla nascita dell'Europa laica e moderna”, il suo pensiero può essere utile contro i rigurgiti di barbarie spacciati per ritorno alla tradizione

Marco Lanterna

Giulio Cesare Vanini, un filosofo dal Salento al mondo

La Puglia – terra elettiva di santi, madonne e visioni beatifiche – genera anche, più raramente e quasi per una sorta di reazione allergica, delle formidabili antitesi al divino, dei regali cigni neri, anzi delle aquile antimetafisiche come per l’appunto venne definito Giulio Cesare Vanini l’aquila degli atei.

Nato a Taurisano nel 1585, dopo una brevissima vita a zonzo per l’Europa e la composizione d’alcuni libri di filosofia naturalistica, finì i propri giorni a Tolosail 9 febbraio del 1619. Venne arso vivo per “ateismo, bestemmia, empietà e altri eccessi”. Il boia, per maggior platealità terrifica, gli strappò persino quella lingua con cui aveva osato “offendere Dio”.

Mario Carparelli

Ora Mario Carparelli, vicepresidente del Centro Internazionale di Studi Vaniniani nonché curatore con Francesco Paolo Raimondi dell’edizione reference di tutte le opere di Vanini (edita da Bompiani nel 2010), ha composto questa piccola summa di conoscenze e curiosità sul filosofo salentino: Giulio Cesare Vanini. Il filosofo, l’empio, il rogo (Liberilibri editore).

Carparelli ha optato per la forma settecentesca e volteriana del dictionnaire philosophique portatif invece d’una trattazione distesa o peggio accademica. Sicché il fortunato lettore, piluccando le 77 voci alfabetiche del libro quasi fossero ciliegie (si sa una tira l’altra), ricava senz’affanno né noia una conoscenza estesissima di Vanini, quasi da addetto ai lavori. In tal senso la seconda di copertina pecca di modestia signorile: vi si parla di “prima introduzione” al filosofo salentino, quand’invece Carparelli ne svela ogni segretuccio o minutaglia.

Vanini che è quasi del tutto sconosciuto da noi (dove la sua esecuzione viene beghinamente fatta sparire come sporco sotto il tappeto liturgico), grandeggia invece all’estero. Si resta un poco stupefatti nell’apprendere quanti colossi del pensiero appresero o ripresero da lui (occorre far almeno due nomi, Hegel e Schopenhauer, i quali in disaccordo perenne, non lo sono però sulla grandezza da tributargli). Inoltre il pensiero vaniniano – che per sfuggire all’Inquisizione si dipanava specioso nelle opere originali in un complesso gioco di simulazioni e cifrature – viene qui infine esplicitato come solo accade nelle piane soluzioni della Settimana enigmistica. Tanto è chiaro e garbato il volume di Carparelli che, oltre al genere del dictionnaire, bisogna intestargliene un altro, pur esso settecentesco, ovvero quello della trattazione galante di argomenti ostici o eruditi. Vanini per le dame avrebbe potuto intitolarsi questo bel librino vermiglio che non a caso l’autore dedica alla figlioletta Beatrice.

Oggi Vanini (a cui bisogna avvicinare altri due martiri del libero pensiero, l’arcinoto Giordano Bruno e l’arcignoto Ferrante Pallavicino) è più attuale che mai. Se infatti la sua figura e il suo sacrificio hanno “contribuito alla nascita dell’Europa laica e moderna”, egli può altresì invigilarne le sempre più frequenti regressioni, ossia quei rigurgiti di barbarie spacciati per ritorno alla tradizione. Vanini dev’essere uno sprone e insieme un monito per i liberi pensatori di adesso, attesi proprio nell’epoca placida dell’infosfera da nuovi insidiosi incorporei roghi.

Nel volume, simili a tre moschettieri dumasiani che uniscono le punte delle loro spade prima della zuffa, danno man forte a Carparelli anche Sossio Giametta e Dario Acquaviva. Nella sua prefazione Giametta – gran filosofo contemporaneo erede della linea naturalistica di Vanini – inquadra il suo antesignano in quel secolare movimento di divinizzazione del mondo a scapito dell’aldilà, iniziato proprio in Italia dai filosofi della natura e portato a compimento dallo Zarathustra di Nietzsche. Mentre Acquaviva – formidabile bibliologo cacciatore d’antichità librarie – nella postfazione rifà minutissimamente la storia delle edizioni vaniniane; le quali, assai più fortunate del loro mesto autore, non conobbero né roghi né autodafè, ma solo gl’incruenti furori dei bibliofili.

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