Economia

Cosa succede quando si strumentalizza l’agricoltura per inseguire populisti e sovranisti?

Anziché ridiscutere con socialisti, liberali e verdi l’impostazione del “Green Deal” per l’agricoltura, il Ppe ha preferito "picconare" la coalizione politica a suon di emendamenti non concordati con la maggioranza, così, alla fine, ha votato con le formazioni populiste e sovraniste per bocciare la direttiva. L’esito dello scontro ha reso evidente la strumentalità dell’operazione. Ha sicuramente accontentato ristretti ambiti agricoli che si crogiolano nella difesa dello “status quo”, ma ha mortificato la componente imprenditoriale e innovativa dell’agricoltura europea che avrebbe preferito un confronto sul ruolo che il settore primario può svolgere nella transizione ecologica

Alfonso Pascale

Cosa succede quando si strumentalizza l’agricoltura per inseguire populisti e sovranisti?

I sovranisti conservatori fanno danni nell’Unione europea perché mirano a soddisfare interessi corporativi pur di raccogliere voti. Per tenere insieme il proprio elettorato, usano il cerotto dell’Ungheria cristiana, della Polonia cattolica o dell’Italia etnica, ma è dubbio che possa funzionare. Combinare culturalmente opportunismo (bisogna stare dentro l’Ue) e corporativismo (sosteniamo chi ci vota) non permette di promuovere la formazione di una cultura conservatrice alternativa al liberalismo. Di cui una democrazia interdipendente avrebbe bisogno.

Brexit ha dimostrato in modo netto la debolezza culturale del nazionalismo, cui il sovranismo cerca di rimediare, senza essere capace di farlo. La forza elettorale non è un sostituto della debolezza culturale. Oggi non c’è una cultura conservatrice che sappia conciliare nazionalismo di destra e necessità dell’integrazione.

Questa situazione si è ulteriormente aggravata ultimamente per il comportamento schizofrenico del Partito popolare europeo (Ppe). Il quale è in continua competizione con le formazioni populiste e sovraniste per conquistare l’elettorato più conservatore.

Dopo la fine della coalizione tra popolari e socialdemocratici che aveva retto il governo di Angela Merkel, le strade dei due grandi partiti storici della democrazia europea sono andate sempre più divergendo. Con la particolarità che ormai i naturali conflitti politici a livello nazionale vengono trasposti sul piano europeo.

Andrea Bonanni, su “Affari & Finanza”, inserto di “Repubblica” del 27 novembre 2023, mette a fuoco il caso della Spagna, dove il Ppe non è riuscito a formare una maggioranza con l’estrema destra di Vox e ha rifiutato ogni ipotesi di coalizione centrista con i socialisti di Sanchez. A questo punto il leader del Psoe, per dare un governo al Paese, ha dovuto stringere un’alleanza con gli indipendentisti catalani offrendo in cambio una amnistia per i loro leader accusati di secessione.

L’inviato da Bruxelles annota che “in altri tempi l’episodio sarebbe rimasto circoscritto nell’ambito della politica spagnola”, invece “sotto la guida del bavarese Manfred Weber, che aspirava alla poltrona di Ursula von der Leyen, il Ppe ne ha fatto un cavallo di battaglia a livello europeo gridando alla violazione dello stato di diritto e accusando Sanchez di aver ordito un golpe anti-democratico”. E questo nonostante la stessa magistratura europea non avesse riconosciuto la validità delle condanne pronunciate dalla giustizia spagnola.

Ma c’è un altro episodio di questi giorni che va visto più da vicino per comprendere meglio quello che sta succedendo nella politica europea: la bocciatura della direttiva sui fitofarmaci proposta dalla Commissione europea.

Sotto la pressione dei verdi che, insieme a popolari, socialisti e liberali, hanno formato la cosiddetta “maggioranza Ursula”, la direttiva prevedeva di tagliare del cinquanta per cento l’uso dei fitofarmaci entro il 2030.

Il Ppe, partito della presidente della Commissione, anziché legittimamente ridiscutere con socialisti, liberali e verdi l’impostazione del “Green Deal” per l’agricoltura, soprattutto a seguito dell’esplosione del problema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari a livello globale (indotta nel 2022 dall’invasione russa dell’Ucraina), ha preferito “picconare” la coalizione politica a suon di emendamenti non concordati con la maggioranza. E alla fine ha votato con le formazioni populiste e sovraniste per bocciare la direttiva.

L’esito dello scontro ha reso evidente la strumentalità dell’operazione. Ha sicuramente accontentato ristretti ambiti agricoli che si crogiolano nella difesa dello “status quo”, ma ha mortificato la componente imprenditoriale e innovativa dell’agricoltura europea che avrebbe preferito un confronto sul ruolo che il settore primario può svolgere nella transizione ecologica.

Il “no” alla riduzione dell’uso dei fitofarmaci non è un “no” ad un’agricoltura più sostenibile, come è apparso nel dibattito parlamentare, ma è un “sì alla intensivizzazione sostenibile” dell’agricoltura per affrontare la sfida ambientale con le tecnologie e le conoscenze disponibili (nuove biotecnologie, agricoltura conservativa, intelligenza artificiale, ecc.).

Le prossime elezioni europee saranno caratterizzate dal confronto/scontro sulla riforma dei Trattati. Il Parlamento europeo ha infatti votato il Rapporto elaborato da cinque relatori della Commissione Affari costituzionali, che prevede (tra gli altri emendamenti ai Trattati) l’estensione del voto a maggioranza qualificata nella generalità delle politiche europee, incluse le politiche del fisco e della sicurezza.

Considerando chi non ha partecipato al voto (un centinaio di parlamentari), chi si è astenuto (44 parlamentari) e chi ha votato contro (274), il Rapporto è stato approvato da 291 parlamentari (cioè, da poco più del 40 per cento dei 702 membri del Parlamento) tutti appartenenti ai gruppi della cosiddetta “maggioranza Ursula”. I conservatori europei (di Giorgia Meloni) e gli identitari (di Matteo Salvini) hanno votato contro (senza eccezioni), mentre Forza Italia (tra i popolari) si è divisa.

Sebbene il Rapporto fosse “tecnicamente farraginoso e tradizionalmente parlamentarista”, come ha rilevato Sergio Fabbrini sul “Sole 24 Ore” del 26 novembre 2023, il voto contrario dei conservatori e degli identitari è stato motivato da ragioni di principio, come la difesa “delle Patrie e delle loro sovranità nazionali”.

Se il Ppe dovesse continuare a inseguire il voto dell’elettorato conservatore – non difendendo la proposta di riforma dei Trattati ma influenzando i governi degli Stati membri per affossarla -, si aprirebbe pericolosamente una fase acuta di involuzione dell’integrazione europea. E guai seri per i cittadini e le imprese unionali si prospetterebbero nei prossimi anni.

 

In apertura, foto di Olio Officina

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