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Quel sogno di vivere a Pezze Galere, con gli orecchini e il rossetto a lavorare la terra

Lo produco, lo racconto. "Ho cambiato tutto delle mie giornate e per trasformare la Masseria mi sono trasformata anche io. Non avendo nessuno da cui imparare, se non dai miei operai, ho cominciato a lavorare con loro. Oggi i tremila alberi e i settecento secolari li chiamo per nome"

Alba Guarini

Quel sogno di vivere a Pezze Galere,  con gli orecchini e il rossetto a lavorare la terra

Dalla città di Brindisi alla campagna: il giorno che ho deciso di occuparmi della masseria ero seduta su un muretto a secco così scomodo e duro come l’imminente futuro, carico di tutte le estenuanti discussioni con mio marito spaventato dal cambiamento. Era il 2004, mio suocero se ne era andato da poco e dovevamo decidere se prenderci cura della terra o no.

Ero combattuta. Da una parte non sapevo nulla: Alba Guarini, all’epoca, era la moglie del veterinario, la figlia di Oronzo, uno dei primi imbottigliatori di oli in Italia, una donna giovane (ma non troppo!) che non lavorava, giocava a tennis e con parecchia vitalità. Competenze come agricoltore? Zero, se non la cura dei fiori sul balcone di casa. D’altro canto, avevo una fiamma in petto: la famiglia di mio marito aveva costruito una storia su questa terra e in mezzo agli ulivi. Anche noi due, da ragazzini, avevamo sognato insieme, promettendoci che un giorno avremmo vissuto a Pezze Galere. Quel giorno era arrivato con un mare di problemi appresso. Bisognava scegliere se realizzare i sogni, a qualsiasi costo, oppure prendersi la responsabilità di mettere la parola fine a tutto. Preferivo scrivere “avanti”. E così, seduta su quel muretto, ho deciso.

La masseria sarebbe cresciuta, sulle colonne all’ingresso sarebbe rimasto scritto il nome di mio suocero, Giacomo Semeraro. Lui, agronomo, negli anni Sessanta aveva già trasformato questa azienda, impiantando cultivar poco comuni in Puglia: Frantoio, Leccino e Picholine. La storia non sarebbe finita lì.

Ho cambiato tutto delle mie giornate e per trasformare la Masseria mi sono trasformata anche io. Non avendo nessuno da cui imparare se non dai miei operai ho cominciato a lavorare con loro tirando le lunghe e pesanti reti cariche di olive. Ho imparato a condurre il trattore, a capire di meccanica, di cernitrici, scuotitori, potature, monitoraggi e trattamenti, arature, fioriture. E poi ho cominciato a riconoscere gli alberi, uno a uno. Ero tanto abituata alla cura di me stessa, che mi mettevo, e indosso ancora, gli orecchini e il rossetto per andare a lavorare nella terra. Oggi che i tremila alberi e i settecento secolari li chiamo per nome non so nemmeno io come sono arrivata ai concorsi (l’anno scorso ne abbiamo vinti un po’ tra Italia e Giappone). Ma so a chi va il merito: a un grande maestro, Gaetano Avallone, conosciuto in circostanze simpaticissime nove anni fa ad Olio Capitale.

Sono stati anni di grande dedizione e umiltà, e anche un po’ di rischio. Come quello di arricchire la produzione aggiungendo al blend, “Il Classico”, i monovarietali. Il primo me lo sono dedicato! Si chiama “Alba”, da olive Picholine, Il nome è il mio, l’ho scelto perché richiama purezza, freschezza, pulizia, ma anche perché mi riconosco caratterialmente nei sentori intensi e persistenti della Picholine. Poi “Giacomì”, monovarietale Coratina. Si chiama come mio suocero ma pure come mio figlio, perché da tradizione meridionale anche a Pezze Galere i nomi dei figli maschi si passano da generazione a generazione.

Con i due monovarietali lo scorso anno ho avuto tanti riconoscimenti, ma non solo. La loro nascita sta segnando un altro passaggio, fondamentale, un cambiamento per cui invece di dire e scrivere “io”, diremo e scriveremo “noi”. Sì, perché Giacomo in nome del legame con Pezze Galere ha deciso di scompigliare la propria vita e cambiare professione per tornare nella terra di famiglia. Anche lui preferisce la parola “avanti” a “fine”! Anche se ha costruito molto a Roma, come giornalista, mettendo su casa, professione e famiglia, il richiamo del cuore è così forte che a un certo punto, alla soglia dei 40 anni, si è fatto sentire anche per lui. La stessa fiamma che bruciava in petto a me ora brucia in petto a Giacomo.

Ho percepito il legame di mio figlio con questa terra quando poche settimane fa abbiamo percorso insieme i 261 verso il frantoio Marsicani, a Sicilì, per la molitura del nuovo monocultivar Picholine, Alba. Avevamo la stessa emozione dentro: quella di assistere e documentare la nascita del frutto del nostro lavoro ritornando a casa esausti all’alba.

L’arrivo di Giacomo in azienda ha portato diversi cambiamenti, tra cui un nuovo logo aziendale di cui siamo molto orgogliosi, perché prende origine da una sezione del tronco di un ulivo secolare della nostra Masseria spezzatosi a causa del forte vento. Tra gli anelli concentrici di quel tronco c’è tutta la storia della nostra famiglia.

L’ultima novità? Il nuovo olio evo monovarietale, “Frà”, da olive Frantoio. Francesco oltre ad essere il nome di mio marito è anche quello di mio nipote, nove anni. A scuola, prima della pandemia, ha portato una bottiglia del suo olio come un simbolo del suo amore per le estati in campagna e i giri in bici tra gli ulivi della Masseria. Oltre al rapporto viscerale con questa terra ha ereditato anche i sensi giusti: ha avuto il riconoscimento come “Nasino d’Italia” concorso che l’Associazione Olea dedica ai bambini in grado di distinguere il profumo degli oli extra vergine da quelli degli oli difettati. Insomma, la sua è una inclinazione autentica e sincera, proprio come il carattere della Masseria.

Masseria Pezze Galere di Alba Guarini

Speziale di Fasano, Brindisi, Puglia

Casa virtuale: masseriepezzegalere.it

Questa narazione la potete leggere anche sul numero 20 della rivista Oliocentrico, pubblicazione edita da Olio Officina

In apertura, e all’interno, foto di Masseria Pezze Galere

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