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Ecco come il mondo del vino reagisce al cambiamento climatico. Cosa fa il mondo dell’olio?

Quella di quest’anno è un’annata difficile e complicata, con cali a macchia di leopardo, spiega il presidente dell’Accademia italiana della vite e del vino, Rosario Di Lorenzo. I cali di produzione sono associabili, soprattutto, a due fattori: uno di natura fitosanitaria, con la diffusione della peronospora, l’altro è invece riconducibile al cambiamento climatico, dove però la tecnica colturale e l’irrigazione osservate possono contribuire a migliorare la situazione attuale

Olio Officina

Ecco come il mondo del vino reagisce al cambiamento climatico. Cosa fa il mondo dell’olio?

È una vendemmia impegnativa, questa in corso, dove ad essere importanti non sono tanto le percentuali dei cali in sé, quanto la necessità di trovare soluzioni ai cambiamenti climatici e alle difficoltà. Perché sono fenomeni non più occasionali, ma, purtroppo, regolari. Come spiega Rosario Di Lorenzo, presidente dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, «è una annata certamente è difficile e complicata con cali a macchia di leopardo. Si può parlare di una riduzione del quantitativo globale con differenze anche tra territori della stessa regione in alcuni dei quali i cali di produzione sono significativi e riconducibili soprattutto alla peronospora che In alcune zone è stata molto incisiva. Peronospora che ha colpito soprattutto nell’Italia del Centro e del Sud».

Al Nord, la maggiore dimestichezza con questa fitopatia ha consentito in molti casi ai produttori di gestire il problema in modo ottimale, in altri casi, invece, le perdite sono arrivate anche al 50%. Inoltre, il grande caldo alternatosi ad eventi piovosi assai intensi ha determinato, specie nel periodo post-invaiatura, una casistica molto complessa, in cui fenomeni di disidratazione degli acini si sono talvolta associati a sintomi di marciume per eccesso di bagnatura, spiega Graziana Grassini, enologo di fama internazionale che affianca all’attività di consulenza quella istituzionale di membro del Comitato Nazionale Vini e del Comitato Scientifico Onav.

Ma c’è anche il cambiamento climatico che anche questo non ha una distribuzione uniforme e dove importante è stata la tecnica colturale e l’irrigazione si è dimostrata un elemento importante per gestire queste problematiche. Per Paolo Storchi, dirigente di ricerca del Crea, Centro viticoltura ed enologia, «il 2023 ha presentato varie problematiche dovute soprattutto all’andamento climatico. Abbiamo avuto tra il mese di aprile e maggio oltre 30 giorni di pioggia che vuol dire notevole difficoltà per le aziende. A seconda anche della gestione di vigneti le aziende avranno rese sicuramente differenziate. Tuttavia, si stimano danni che vanno da un minimo del 10-20% fino al 70-80%. E questo ci dà informazioni sulla importanza della attenzione da porre alla gestione della difesa e quindi l’importanza dei tecnici aziendali. Dove è stata fatta una gestione basata su modelli previsionali, sull’uso dei prodotti adeguati, i danni sono contenuti. Proprio un’annata come questa è importante perché ci sarà delle indicazioni anche per il futuro sull’attenzione da porre ai vari aspetti della gestione del vigneto».

Uno dei problemi principali è dato da uve che sono ancora lontane dalla maturazione fenolica ma presentano già un alto tenore zuccherino e, ancora una volta, le aziende si troveranno ad affrontare la gestione dell’alcol.

Per i vigneti esistenti, come evidenziato dagli studi del Professor Stefano Poni, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, esistono tecniche che possono rallentare l’accumulo di zuccheri, come la defogliazione alta della chioma, o una potatura invernale particolarmente tardiva facendola inoltre ricadere in un periodo più fresco senza, al tempo stesso, penalizzare la maturazione fenolica ed aromatica.

In merito al rapporto tra olivicoltura e cambiamento climatico si sono espressi Mauro Meloni, direttore del Ceq Italia, e Massimo Occhinegro, economista e esperto di marketing.

L’olivo, così come le specie vegetali in generale, si adatta ai cambiamenti climatici: non a caso la sua comparsa sulla terra risale al 4.800 avanti Cristo. Continuerà a esistere oltre alla presenza dell’uomo, si adatterà a ciò che lo circonda e saprà rispondere anche a nuovi ambienti.

In questo contesto, a mutare è anche l’olio. Quindi, se gli eventi naturali modificano e delineano un nuovo profilo dell’extra vergine, le normative dovrebbero essere coerenti con questi cambiamenti e non viceversa, spiega Mauro Meloni, direttore del Ceq.

Per approfondire le osservazioni è possibile leggere l’articolo completo Quando il cambiamento climatico incide sulla qualità degli extra vergini. Da dove partire?

Sicuramente esistono dei metodi – sia per l’olivicoltura sia per la viticoltura – più efficaci rispetto ad altri che sanno rispondere alle difficoltà sempre più diffuse.

Secondo Graziana Grassini, anche in cantina vi sono possibilità che possono essere osservate. Ad esempio, una è data dall’utilizzo di lieviti “a bassa resa” di alcol etilico.

«Comprendere come affrontare i cambiamenti climatici è una grande sfida. Una possibile, parziale, soluzione viene dall’enologia, che oggi guarda con interesse a lieviti a bassa resa di alcol etilico come Saccharomyces uvarum, Saccharomyces kudriavzevii e la Candida Zemplinina (Starmerella Bacillaris) che possono contribuire a contenere le gradazioni alcoliche. Altre criticità derivano dall’andamento meteorologico nelle ultime fasi della maturazione, in questo caso una risposta può essere investire, quando possibile, su vitigni precoci per garantire di portare uve sane in cantina».

In apertura, foto di Olio Officina

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