Economia

Stop al sottocosto degli extra vergini

Nella Gdo si consuma un bagno di sangue, a volte. Il più delle volte. Forse sempre. È un cul de sac da cui occorre al più presto uscirne, per salvare le aziende e soprattutto il prodotto. Il pensiero del direttore generale di Assitol Andrea Carrassi spiazza e fa riflettere. Le vie d’uscita ci sono, e non richiedono cruenti battaglie e contrapposizioni

Olio Officina

Stop al sottocosto degli extra vergini

Premessa.

Siamo a Olio Officina Festival 2020. Il venerdi 7 febbraio in sala Leonardo, si argomenta intorno a un tema caldo, caldissimo: il sottocosto. Per certi versi è una barbarie. E non si esagera con le parole, perché a volte piange il cuore, vedere oli sugli scaffali in proposte in sottocosto che gridano “pietà”, ma i cattivissimi buyer della Gdo sono implacabili. Per loro l’olio non è come l’oro, vale niente, serve solo a veicolare traffico. La qualità dell’olio non interessa ai buyer, conta solo il prezzo più basso. Quando si ospita l’olio a prezzi equi, in stretta relazione con la qualità, è solo per pulirsi la coscienza. Quanto riportato qui, in apertura, è il pensiero di Luigi Caricato.

Sul palco, però, ci sono stati diversi protagonisti della filiera olio. Si inizia dal direttore generale di Assitol, Andrea Carrassi. Tutti gli ospiti sono stati pacati, educatissimi, rispettosi, ma la complessa e sofferta realtà non la si può negare. Il sottocosto uccide prodotto e aziende. Ecco allora un resoconto a puntate di quanto è stato detto in quella occasione. Ragionamenti validi sempre, perché il sottocosto, purtroppo, è una costante che non si riesce a governare.

Luigi Caricato

Andrea Carassi, Assitol è stata l’organizzazione che ha investito molto tempo ed energie sul tema del sottocosto. Con coraggio, anche. Perché va pur detto, in pochi sentono di esporsi e di dire quel che va detto, ovvero che non si può svilire brutalmente un prodotto, perché altrimenti ciò che fa della leva del prezzo uno strumento di marketing diventa un’operazione patologica, quasi un abominio. Sono parole forti, d’accordo, ma non si può nemmeno accettare di vedere in un volantino la bottiglia da un litro a 1,99 euro. Forse c’è un limite alla decenza oltre il quale un buyer non può andare. Ecco, voi come Assitol avete portato avanti una battaglia dignitosa, seria, non gridata. È proprio così, vero?

Il direttore generale di Assitol ANDREA CARRASSI

Andrea Carrassi

Sì, grazie Luigi. Per noi è un tema molto importante. Affrontare questi aspetti, soprattutto nel corso dell’anniversario dei 60 anni dell’olio extra vergine di oliva che si sta evocando a Olio Officina Festival, mi sembra utile. Avete parlato di comunicazione, perché effettivamente questa è fondamentale. Sono 60 anni di extra vergine ma poi il consumatore oggi non è più quello di un tempo, va a cercare le informazioni su internet. Il dottor Google. Qualcuno lo interpella ogni volta che si ha bisogno. Conoscere, serve conoscere. Si cercano tutte le informazioni. Io che vivo a Roma dico sempre che “il romano a pranzo comincia già a pensare a quello che mangerà per cena”. Quando parli con un olandese, ti rendi conto che non sanno neanche cos’è la nostra cultura del cibo. Ecco la nostra dieta mediterranea, fatta di alcuni pilastri, uno dei quali è l’olio extra vergine di oliva, poi ci sono i carboidrati. Si dice, giustamente, pane e olio. Li mettiamo insieme e questa energia dei carboidrati semplici, del pane fresco artigianale, unitamente all’olio, sono il nostro solido modello culturale di riferimento. Io parto da qui, dalle basi. Noi di Assitol abbiamo deciso di scendere in piazza e incontrare la gente. Il pane fresco, l’olio, si fa lo spuntino, l’aperitivo e cosa c’è di meglio come snack se non il pane e l’olio? Però questo prodotto che è l’olio ancora non lo si conosce a sufficienza. Soffre la luce, non solo quella del sole, anche quella elettrica. Soffre il caldo, la temperatura. Spesso noi consumatori conosciamo l’olio, diciamo di conoscerlo, ma non lo conosciamo. Per questo con l’Unione Nazionale Consumatori abbiamo realizzato una linea guida per ricordarci le piccole regole essenziali. Per informare chi consuma, ci stiamo impegnando a fornire le conoscenze. Di solito diamo l’olio per scontato, lo consideriamo un condimento, e uno vale l’altro, sono tutti uguali. Non è così. Eco, sono partito forse un po’ da lontano per far capire che il sottocosto c’è, è un problema reale, ma è un grosso problema perché manca soprattutto la conoscenza del prodotto. Senza conoscenza, il sottocosto vince sempre. Faccio un esempio. C’è una casa che fa poltrone, divani, sofà etc., che sta sempre in promozione, ecco: chi è quel consumatore che comprerebbe a prezzo pieno un prodotto che tutto l’anno trova sempre in promozione? Nessuno. Anche il consumatore che trova ogni due o tre giorni al supermercato un olio in promozione, immaginate per 365 giorni, tutti i giorni dell’anno, il messaggio che passa al consumatore è che tutto l’anno può in ogni caso comprare un olio extra vergine di oliva al prezzo più basso possibile, liberamente; e allora un olio vale l’altro. Il messaggio che passa al consumatore è sbagliatissimo. Per questo noi conduciamo una battaglia culturale contro il sottocosto. Oltretutto, da una analisi di dati che abbiamo visto al Coi e alla Commissione Europea, quando si è portata avanti una politica fondata sulla strategia del prezzo, semplicemente perché bisognava entrare in alcuni paesi che ancora non consumavano l’olio extra vergine d’oliva, ormai si è appurato che tale strategia non porta più i suoi frutti. Abbiamo anche visto che la Spagna pratica molto una politica basata sulla quantità. Basta solo immaginare che su 3 milioni di tonnellate di produzione mondiale la Spagna l’anno scorso ha prodotto un milione e settemila tonnellate d’olio. Questa politica della quantità ha di fatto diviso, sostanzialmente, in due sole cultivar, Picual e Arbequina, la gran parte della produzione, spingendo in tal modo il consumo sulla base del prezzo basso, proprio perché standardizzando la produzione riusciva a tenere bassi i costi di produzione e ad arrivare sui nuovi mercati, non ancora abituati all’olio extra vergine d’oliva, a prezzi bassissimi. Un grande sforzo, indubbiamente, ma abbiamo anche visto, da quanto è emerso nella riunione degli esperti della Commissione Europea, che questa politica ormai non porta più frutti, soprattutto nei Paesi storicamente consumatori di oli da olive come lo sono l’Italia, la Spagna, la Grecia.

Tutto inoltre cambia, non c’è più il medesimo scenario sociale di un tempo. Sono cambiate le famiglie, non esiste più la famiglia monoreddito, con cinque figli e con l’operaio che fatica a fine mese. Sicuramente ci sono casi terribili di precarietà e di difficoltà, ma nel contempo stanno nascendo nuovi nuclei familiari che non hanno più difficoltà ad arrivare a fine mese e si possono permettere di spendere qualcosina in più, tuttavia bisogna trasmettere ai consumatori il valore del prodotto, perché se dici al consumatore “prima lo pagavi x e adesso lo paghi il doppio di x”, questi dirà, semplicemente: “perché? Che cosa mi stai dando in più?”

Noi di Assitol abbiamo deciso di scendere in piazza e incontrare la gente

Occorre necessariamente smettere con la pratica del sottocosto, perché fa passare il messaggio sbagliato, ovvero che puoi comprare un extra vergine sempre al prezzo più basso, senza mai pensare quale dinamica abbia spinto quel prezzo ad essere proposto in sottocosto. Il più delle volte è il prodotto civetta che crea traffic builder, quindi è la stessa catena che decide di perderci su quel dato prodotto, su quella data referenza, ma poi la stessa catena distributiva ci guadagna su tutto il resto. Altre volte, invece, sono gli stessi operatori che sono presi per il collo, “costretti” a lavorare al prezzo di costo, e non è un bene, perché poi i lavoratori della filiera sono tutti lavoratori italiani, che stanno qui e meritano un equo compenso per il proprio lavoro.

Luigi Caricato

La cultura, dunque; solo la cultura ci può salvare. Oltre che l’etica.

Andrea Carrassi

Sì, la cultura ci fa comprendere quale sia la strada da percorrere. L’etica, in quest’ottica, è fondamentale. Da un lato noi abbiamo la battaglia al sottocosto, dall’altra abbiamo attivato la campagna di promozione “pane & olio” per spiegare il prodotto, per fare l’assaggio con i consumatori. Sono tante le iniziative, già qui a Olio Officina Festival, come altrove, in altre città. Da due, tre anni a questa parte facciamo, in giro per l’Italia, un tour per entrare in diretto contatto il consumatore attraverso il prodotto. Un’altra attività di promozione credo la si debba estendere ai ristoranti. Infatti quest’anno vogliamo tornare qui a Milano, al Forum Olio & Ristorazione, perché secondo noi il ristoratore è fondamentale, perché è un ambasciatore cruciale della qualità del prodotto. Lo abbiamo visto con il vino, quando hanno smesso di dare il cosiddetto vino sfuso nei ristoranti e hanno capito che potevano guadagnare sulla cantina. Anche il profilo della qualità del prodotto vino è migliorato sensibilmente, nei ristoranti. Sull’olio ancora non accade nulla, invece. Non si curano del prodotto. Non utilizzano il tappo anti trabocco, ma ancora una oliera anonima, unta e bisunta, traboccata migliaia di volte, nella speranza che sia almeno olio extra vergine d’oliva, quando spesso invece si tratta di miscele di chissà che cosa. Ecco, se cominciassero a mettere le bottigline da 100 ml, o quelle da 20 ml, i piccoli formati, sarebbe un gran passaggi culturale. Se vi sono quattro commensali a tavolauna bottiglia da 250 ml può essere più che sufficiente, magari si finisce pure, e se non si finisce e magari piace, il cliente se la può portare via. Una boccettina carina, pratica da mettere in borsa. E dirò di più: se mi piace quell’olio che ho provato a tavola, magari quando vado a pagare il conto dico al ristoratore “me ne dai altre due o tre?”. Perché, voglio dire: oggi noi paghiamo il coperto, 1, 2, 3 euro? Ebbene, mettete quattro persone che pagano due euro di coperto: 8 euro. Aggiungendo una bottiglia al prezzo di 2,50 euro, siamo a 32 euro al litro: diciamo che ci compro un olio di tutto rispetto. Ecco, io dico: l’altro giorno il collega mi fa vedere le cialde di caffè compostabili: “ah, guarda che bel prodotto!” Sì, ha capito: girando la confezione nota che si tratta appena di 56 grammi di prodotto: 2 euro. Ho detto: “scusa, ma tu quando vai al supermercato compri il pacco da 500 grammi e lo paghi 6 euro, qui invece paghi 2 euro solo per avere 56 grammi di caffè. Ecco, c’è stata una rivoluzione sul fronte del packaging. Ma non si tratta solo del caffè, basta guardare anche il sale. Lo si trovava nei posti più disparati, perfino sul pavimento, nei corridoi dei supermercati, tra la polvere, e non si vendeva a più di 70/80 centesimi al chilo, mentre adesso mettono il sale in dei tritasale fantastici: 100 grammi al prezzo di 3 euro, d tutto va bene, il prodotto viene acquistato, piace, nessuno batte ciglio. È sale. Sale dell’Himalaya, rosa, giallo, verde… Però è sale. L’insalata. Si faticava nei mercati rionali a venderla a 1 euro al chilo, adesso due etti costano 3 euro, presentata a dovere. Ecco, sull’olio noi continuiamo a ragionare in litri. Il settore ragiona in tonnellate. Noi dobbiamo invece cambiare la prospettiva e far pagare l’olio per il prodotto che vale, per il prodotto di qualità che è, vestendolo e presentandolo nel modo più è confacente. Se un’azienda, a un certo punto, legittimamente, riesce a raggiungere un fatturato migliore, facendo anche diversi formati, il consumatore si può portare a casa delle confezioni da mezzo litro, più comode, più funzionali. Anche perché abbiamo detto che l’olio si ossida, e se si ossida e si ha una bottiglia da un litro, e mi dura un mese, mi si ossida allora di più rispetto a una bottiglia da mezzo litro. E allora, sì, lavoriamo anche un po’ sul packaging, facciamo un po’ una rivoluzione di questo tipo, che ci permetta di fare i giusti abbinamenti con il cibo, perché in tal modo se ho due o tre bottiglie di tre gusti diversi, una la posso abbinare con il pesce, una con la carne, una con l’insalata. Questo, per esempio, ci aiuta insieme nella battaglia contro il sottocosto. Con una strategia adeguata.

Dobbiamo cambiare la prospettiva e far pagare l’olio per il prodotto che vale, per il prodotto di qualità che è

Noi non chiediamo di eliminare il sottocosto, ma di trovare via alternative, credibili e sostenibili. Il termine “battaglia contro il sottocosto”, può suonare dura, ma io vorrei invece dare un messaggio positivo, perché alla fine abbiamo bisogno di messaggi positivi. Allora, sì: trasmettiamo valore ai consumatori, trasmettiamogli il senso di questo prodotto che non è tutto uguale e proprio perché non è tutto uguale non lo si può nemmeno pagare sempre in sottocosto. Quindi, ricapitolando: non deve essere per forza una battaglia al negativo, nel senso di “vietare”, anche perché a me non piacciano i divieti. Mi piace più che altro spingere le aziende a investire in marketing e, magari, visto che siamo un Paese un po’ campanilista, e che quando qualcuno parte, spero anche che qualcun’altro lo copi, se non altro per invidia, per emulazione, ecco, si può cambiare il futuro, nella logica del “lui l’ha fatto, lo faccio anche io”. Per questo, innescare un atteggiamento nuovo è la soluzione migliore. Diciamo pure, un circuito virtuoso che porti il marketing verso investimenti in un settore che ne ha molto bisogno. È chiaro, però, che se le catene distributive ci prendono per il collo e ci fanno lavorare al costo, con le politiche del sottocosto, difficilmente sarà possibile, per i nostri operatori, arrivare a emanciparsi. Quindi, è questo il senso del sottocosto per me: non voglio che sia per forza legato a un discorso di divieto, come se fosse una cosa brutta. Chiaramente, gli operatori della distribuzione fanno profitti, perché anche loro devono ragionare guardando i bilanci. Tuttavia, così come vendono la cialda del caffè da 50 centesimi a 2 euro, con una visione culturale diversa sarebbero altrettanto felici – immagino – di vendere una bottiglia extra vergine d’oliva, magari da mezzo litro, a dieci euro, anche perché non è che sia pii così appagante vendere sempre al prezzo più basso. L’importante è che si trasmetta al consumatore u messaggio chiaro e che non lo si sta ingannando: gli stiamo vendendo un prodotto di qualità differente dal solito. Tutto qui. Come nel vino ci sono i brick, che, si sa, si usano per cucinare, o comunque contengono un prodotto di qualità inferiore, così e ci sono, via via, vini di alta qualità, con bottiglie che possono arrivare a costare fino a 300 euro e che durano un quarto d’ora appena, dopo averle stappate. E noi non riusciamo a convincere il consumatore della qualità del prodotto olio extra vergine d’oliva, che magari in casa dura, una volta aperta la bottiglia, ben due settimane? Ricapitolando, è questo il punto: ci vuole cultura.

Luigi Caricato

Sono contento che sia stata proposta una valutazione positiva, per una via d’uscita dalle politiche del sottocosto. Quando io ho annunciato un focus sul sottocosto, nel presentare il programma di Olio Officina festival, c’è stato chi ha voluto lanciare, per controcanto, una campagna contro il sottocosto pubblicando sui social media foto di bottiglie dai prezzi bassi, svilendo in tal modo anche la reputazione delle aziende, che sono il più delle volte le vere vittime. Ecco, credo che la battaglia contro il sottocosto debba essere una conquista di civiltà, al fine di recuperare il valore del prodotto perduto negli anni, partendo appunto dalla ricostruzione del valore del prodotto e non certamente da battaglie demonizzatrici attraverso le quali puntare il dito contro qualcuno, contro le aziende. È sbagliato, anche perché in tal modo, con i metodi sbagliati, si crea soltanto un umore negativo, con una contrapposizione tra le parti che non giova a nessuno. Sicuramente ci sono stati errori, gravi, da parte di tutti, lungo tutta la filiera, considerando in ogni caso la catena distributiva come la vera responsabile, perché di fatto ha abusato della leva del prezzo, svuotandone il significato originario, a vantaggio del prodotto in offerta, per farlo provare, e a vantaggio del risparmio riservato al consumatore. La leva del prezzo è fondamentale perché avvicina il consumatore al prodotto, ma non può essere utilizzata per fini diversi e involutivi. La promozione va razionalizzata e non può essere svilita al punto da arrivare a perdere di significato. Arrivare a svilire un prodotto significa smarrire il senso profondo del commercio, banalizzandolo. L’eccesso di promozione porta le aziende che lo subiscono a non poter effettuare investimenti sulla qualità del prodotto e sulla innovazione. Per questo vanno razionalizzate le offerte. Le aziende che investono in risorse umane, in laboratori di ricerca, per innovare il prodotto, non possono più innovare quando si praticano operazioni commerciali che cannibalizzano il prodotto. A questo punto, nel contesto attuale, cosa deve fare il consumatore? Io non lo colpevolizzo, perché il consumatore è consumatore di tutti beni in commercio e pertanto non può conoscere tutti i beni che utilizza. Certamente però vorrei che il consumatore comprendesse che dietro ad ogni bene, c’è chi lavora e va rispettato. Occorre portare avanti un’opera di sensibilizzazione, quasi una sorta di “pubblicità progresso” rivolta a chi opera in commercio, per portarli a un cambiamento di rotta. Anche perché, diciamolo pure con tutta franchezza, non si può portare avanti in pubblico una immagine fondata su valori come la sostenibilità e poi, nel chiuso del proprio supermercato, praticare operazioni commerciali indegne e indecorose. C’è un limite morale oltre il quale non è possibile più accettare una politica del sottocosto stordente e vile, così come attualmente viene praticata su vasta scala, perfino attraverso il ricorso alle aste.

Andrea Carrassi

Mi viene in mente una immagine. Penso al consumatore. Lui capisce benissimo che un telefono può essere venduto in sottocosto, perché nel periodo del famoso “black friday” si compra sempre un prodotto di elettronica. Se non si vuole l’ultimo modello dello smartphone, ci si accontenta di quello dell’anno scorso, pagandolo la metà, perché tanto mi serve per inviare email o per fare telefonate. Quindi è un’operazione puramente meccanica, mi va benissimo accettare il sottocosto. Nel caso specifico, se la catena distributiva ha il magazzino pieno di prodotti non venduti e li vuol far fuori attraverso il sottocosto, può farlo, ha un senso. Praticare il sottocosto sui cellulari di un modello ormai superato è pratica comune e risponde a una logica. Ciò che non va bene è praticare il sottocosto sull’olio extra vergine di oliva che è una spremuta, un succo di frutta di olive, ricco di vitamine, di polifenoli, di sostanze che fanno bene alla salute. Non lo diciamo noi industriali che l’olio fa bene, che potremmo avere un interesse commerciale, ma lo dicono le università e i centri di ricerca indipendenti: consuma l’olio extra vergine che ti fa bene alla glicemia, che ti fa bene all’infiammazione delle cellule, che previene l’insorgere di eventuali tumori. Perché allora si deve andare a lesinare su un prodotto che la filiera, i lavoratori dell’intera filiera, noi, qui, adesso, ogni giorno, dobbiamo lottare per non essere costretti a lavorare al costo, al prezzo di costo. Se si continua a praticare il sottocosto come costante, difficilmente sarà possibile riuscire a riconoscere, anche al lavoratore, quel valore aggiunto. Allora, il consumatore deve capire che quando si fa convincere su un sottocosto sull’extra vergine, sta contribuendo a sottopagare il lavoro della filiera, non sta facendo un interesse nazionale in tutti i sensi, quando dovrebbe invece capire che un prodotto di qualità, pagato al prezzo giusto del costo di produzione, forse aiuta lui e il Paese in cui vive ad avere un quadro diverso e migliore, più edificante dal punto di vista economico e sociale.

In apertura, “Olio di gomito”, un’opera di Anna Magistro, esposta a Olio Officina Festival 2017, nel corso della mostra “Olio d’Artista”, a cura del compianto Francesco Sannicandro. Le foto all’interno sono di Gianfranco Maggio per Olio Officina, mentre quelle della galleria immagini sono Di Sara Marcheschi. Si ringrazia inoltre, per la elaborazione del testo tratto dal parlato, Sara Marcheschi

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