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I trucioli nel piatto dell’Expo

Il maestro Gualtiero Marchesi si è ispirato all’amico Maurizio Riva, grande imprenditore del legno e ne ha affidata l’esecuzione a Carla Latini, ponendo alcune condizioni per realizzare il nuovo piatto. Il grande cuoco progetta una cucina del minimo indispensabile o meglio della massima purezza, spostando sempre l’attenzione dall’apparenza alla sostanza delle cose

Nicola Dal Falco

I trucioli nel piatto dell’Expo

«Sottil falda di legno sollevata dalla pialla, che fa riccio» così dice il dizionario, descrivendo il truciolo, tornato ora pasta grazie ad una vecchia trafila di bronzo di almeno cinquant’anni e all’immaginazione di Gualtiero Marchesi.

Il maestro si è ispirato all’amico Maurizio Riva, grande imprenditore del legno e ne ha affidata l’esecuzione a Carla Latini, ponendo alcune condizioni per realizzare il nuovo piatto.
Il truciolo non è altro che una conchiglia incompiuta, una spirale aperta e se lo puoi anche gustare, si trasforma da residuo, da rifiuto, da ciò che togli in qualcos’altro: un’appetibile scultura che ricorda la corolla di un fiore o una rosa del deserto.

Marchesi progetta una cucina del minimo indispensabile o meglio della massima purezza, spostando sempre l’attenzione dall’apparenza alla sostanza delle cose, basti pensare a Carn’è pesce, al Raviolo aperto, alla Cotoletta del duemila o all’Insalata di spaghetti, caviale ed erba cipollina.
Finora, l’idea del truciolo è la più esplosiva, perché ci ricorda di guardare per terra, tra gli scarti e raccogliere un frammento di senso, ricostruendo un po’ della bellezza a portata di mano.
Il truciolo è l’immagine della fatica del falegname, forse anche della sua opera più alchemica, irridente e moderna, quella di Pinocchio, dotato di favella e disposto ad affrontare il mondo.
Ad ogni buon conto, Marchesi lo ha voluto il più possibile bianco e quasi aereo.

«Mi ha chiesto di non farlo ruvido – spiega Carla Latini – e per accontentarlo gli ho spiegato che potevamo lavorare sulla morbidezza della pasta e sul colore senza rinunciare alle trafile di bronzo e utilizzando delle varietà antiche di semola di grano duro italiano».

«In questo modo – sottolinea Gualtiero Marchesi – posso giocare meglio sul contrasto, importante sia per la composizione sia per la digeribilità di un piatto.
Al candore e alla levigatezza del truciolo ho sovrapposto il nero dei chicchi di riso croccanti e pepati, realizzati da Gli Aironi Risi&CO, condendo alla milanese, con una salsa a base di burro e di zafferano.

«Il nuovo piatto, bianco, nero, giallo e rosso che riunisce in maniera elegante grano e riso, i due alimenti base dell’umanità, si chiama: trucioli di Marchesi allo zafferano».

«I trucioli restano al dente – aggiunge Latini – tengono benissimo la cottura grazie alle dimensioni della “cartella” che all’interno della trafila determina lo spessore della pasta.
Una pasta omogenea che cuoce in quattordici minuti. Abbiamo moltissime richieste da parte di ristoranti e di privati.
«Per il momento i trucioli sono distribuiti nelle gastronomie e nelle enoteche di tutta Italia con particolare attenzione al mercato lombardo.
Il prezzo della confezione da 500 grammi è di 4,50 euro»

L’etichetta, che ripropone le tradizionali sette pennellate colorate della cucina marchesiana, con un effetto di stelle filanti, è nata da un’idea di Libero Gozzini.

I trucioli di Marchesi allo zafferano

Ingredienti per 4 persone:

gr 320 di trucioli
gr 20 di riso crunchy nero
gr 80 di burro
gr 1 di zafferano in stigmi
qualche goccia di limone
gr 5 di sale fino

Preparazione:

Mettere lo zafferano in infusione in poca acqua calda per 20 minuti.
Sciogliere il burro in una casseruola a fuoco basso per evitare che sfrigoli, stemperarvi gli stigmi di zafferano, aggiungere alcune gocce di limone, aggiustare di sale ed emulsionare con
poca acqua, tenere in caldo.
Cuocere i trucioli di pasta in abbondante acqua salata fino a cottura, scolare, condire con la salsa allo zafferano, impiattare preferibilmente su un piatto nero, cospargere con i chicchi di
riso crunchy nero e servire.

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